domenica 8 giugno 2014

VITE PRECARIE E TERRA: UN ATTO SQUISITAMENTE POLITICO

A partire dalla propria esperienza si sente la vulnerabilità dell'esistenza e si scopre anche la vulnerabilità altrui. È dall'angoscia che tutto sta cadendo, che si può cercare un utilizzo politico della paura, originale e non omologata, realizzando che la vita di ognuno/a dipende da altri/e.
Se non c'è autosufficienza non si ha un totale controllo, né sui popoli, né sulle vite singole. Si fanno danni per tenere il controllo di popoli e terre, ma proprio l'aver subito un danno diventa occasione per riflettere, elaborare di quanto anche altri/e, per le più disparate questioni e in diversi luoghi, soffrono e non realizzano i propri desideri. E con l'altro/a si può iniziare a pensare alla vita quotidiana, all'oggi, alla vita materiale (é successo con le donne di Acerra “Comitato donne 29 agosto” per la vicenda dei rifiuti in Campania).
Nel nostro presente si hanno moltitudini di “vite invisibili” che per essere svelate hanno bisogno di sfidare l'insostenibile della propria precarietà, per elaborare e credere in un pensiero libero e originale, per essere così liberi da intimidazioni e soggiogamenti. Con la forza dello sguardo nasce l'interesse per l'altro/a, guardare ciò che accade e interrogare chi appare, con tale relazione fare mondo e fare casa.
Prima condizione è posizionarsi dove cade lo sguardo, l'altro/a appare nel luogo del proprio abitare: immigrato/a, contadino/a, nemico/a, artista... e come rendere casa, fare casa, il luogo dello sguardo: muovendosi in relazione con l'altro/a, che si è svelato al mio sguardo. Si pensa al mondo, alla terra , e ci si occupa di ciò che fa inceppo, ostacolo (l'altro è l'origine della propria paura perché fa limite alle proprie sicurezze). Così vite precarie e terra, attraversate da un atto squisitamente politico, da “vite invisibili” che si rendono visibili, si vede ciò che prima non si vedeva, si pensa a ciò che prima non si pensava, a vite raccontate ad una ad una.
Ci si separa da una politica che non vede l'invisibile, come fece il movimento delle donne, per andare verso un proprio sentire, immaginare, pensare, Si apprende un saper fare in un intreccio di relazioni che fanno polis, proprio perché si vede la precarietà dell'altro/a.
Come le labbra, del sesso, dall'una all'altra, fecondità da venire, mondi differenti che si scambiano, come un pensiero d'arte, un saper fare, fino a fare pace con l'altro. Si opera in un laboratorio per progetti di vita, ed appaiono le differenze, propria e quelle dell'altro/a/i/e. Da ognuno e ognuna si attraversa un collettivo. Dall'uno all'altro, muovendosi dalla propria difficoltà, dall'ansia del presente, dalla mancanza, si fatica per andare oltre. Non ci si sente interrogati dal contesto, ma dalla stessa vita, è la vita che mette al mondo mondi differenti.
Per l'esperienza della devastazione della propria terra ci si sente chiamati dal dolore e quando si è convocati si arriva in presenza dell'altro/a che prima non era nel tuo sguardo, c'è l'altrove, come i produttori del cibo che ci nutre, contadini/e. La relazione con il contadino/a arriva dal capire del non poter vivere/sopravvivere da solo/a. La stessa vita è relazione, il qui ed ora, e così l'altro/a diventa un'autorità, dona il verso alla propria esistenza, come un improvviso comando che ti chiama e ti spaventa.
Dall'esperienza si scopre che la propria vita è precaria, infatti attraverso il sostare, il guardare, l'ascoltare si avverte la precarietà dell'altro/a e si può svelare “l'urgenza”, la propria necessità. È svelando la propria angoscia che si rende visibile l'altro/a, staccandolo dal tutto si sente la sua voce. E qualcosa d'altro accade che ci interpella. Convocati davanti all'altro/a si è in una tensione che sarà solo ambivalenza. Lo scambio di saperi, il fare in relazione, è politica in presenza: scoperta del volto senza violare la sovranità altrui, ma in un incontro che sposta.
Aggregazioni collettive, reti, movimenti, sono segnalatori delle trasformazioni del mondo e della terra, non ubbidendo più a ciò che non credono, imparando a governare se stessi in relazione con altre/i. Come un fare materia organica, humus, per restituire alla terra l’attenzione e l’amore che merita la Madre
Questo è accaduto in Corto Circuito Flegreo, vite differenti e differenti desideri che trovano un punto d'incontro, diventando visibili all'altro/a, iniziando dall'angoscia del vivere pensare ad agire. Oggi c'è racconto di quel che accade nel reale ad ognuno/a di quest'Associazione ed oltre. A partire dal sapere quotidiano si può far pratica di restituzione alla terra, cultura di pace, creando intrecci collettivi pur percependo le fragilità del quotidiano, non invadendo lo spazio altrui ma entrando in questo spazio per rafforzare il processo delle relazioni, nostro unico e insostituibile capitale.
In forma collettiva ci si è avvicinati ai movimenti (popolari) che sono i segnalatori delle trasformazioni del mondo e della terra: stato corporativo, privatizzazioni, mal governo, corruzione. I movimenti cercano e fanno teoria/ pratica per rompere il processo di irrigidimento degli Stati, di militarizzazione dei territori e di appropriazioni delle risorse. Molti movimenti polari (come beni comuni) fanno oggi scarto e scompongono il sistema, non ubbidiscono a ciò che non credono e si impara a governare in relazione. È fare materia organica per restituire alla terra, per una visione del mondo a partire da chi fa terra, una attenzione alla terra per amare la madre.
I saperi e le conoscenze di donne del mondo sono concretezza e sostanza per le relazioni tra esseri umani e terra/fonte di sostentamento. A partire dal sapere quotidiano ( il femminile conosce per esperienza mondo e immondo) si può far pratica di restituzione alla terra, cultura di pace avvertendo paure e attrazioni, e fare vita collettiva percependo le fragilità, non invadendo lo spazio altrui, sempre con “intima estraneità”.

Contributo di Nadia Nappo e Maria Rosaria Mariniello per Incontro nazionale sui sistemi di garanzia partecipata in Italia,  organizzato da Cortocircuito flegreo, 31/5  e 1-2/6/2014
 

Letture di
- Judith Buttler, Vite Precarie, Postmedia Books, 2013,
- Vandana Shiva, Fare la pace con la terra, Feltrinelli, 2013
- Adriana Cavarero, Nel nome di Antigone, in «Quaderni di Micromega», No alla guerra di Bush, suppl.a n.1/2003
Per essere il cuore pensante della baracca (da frase di Etty Hillesum) 
- Angela Putino, Simone Weil. Un'intima estraneità, Città aperta, 2006

Grazie per i commenti.

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