martedì 28 febbraio 2017

La tormenta sul nostro cammino.

La tormenta sul nostro cammino.
Per noi, popoli originari zapatisti, la tormenta, la guerra, c’è da secoli. Arrivò nelle nostre terre con la menzogna della civilizzazione e della religione dominanti. Allora, la spada e la croce dissanguarono la nostra gente.
Col passare del tempo, la spada si è modernizzata, e la croce è stata detronizzata dalla religione del capitale, ma si è continuato a chiedere il nostro sangue come offerta al nuovo dio: il denaro.
Abbiamo resistito, abbiamo sempre resistito. Le nostre ribellioni sono state soppiantate dalla disputa di uni contro altri per il Potere. Alcuni ed altri, sempre da sopra, ci hanno chiesto di lottare e morire per servirli, da noi hanno voluto obbedienza e sottomissione con la bugia di liberarci. Come quelli ai quali dicevano e dicono di combattere, sono venuti e vengono a comandare. Ci sono state così indipendenze e false rivoluzioni, quelle passate e da venire. Quelli di sopra si sono alternati e si alternano, da allora, per mal governare o per aspirare a farlo. E in calendari passati e presenti, la loro proposta continua ad essere la stessa: che noi, ci mettiamo il sangue; mentre loro dirigono o fingono di dirigere.
E allora ed ora, dimenticano coloro che non dimenticano.
E la donna sempre in basso, ieri ed oggi. Incluso nel collettivo che siamo stati e che siamo.
Ma i calendari non hanno portato solo dolore e morte tra i nostri popoli. Espandendo il suo dominio, il Potere ha creato nuove fratellanze nella disgrazia. Abbiamo quindi visto l’operaio e il contadino diventare tutt’uno con il nostro dolore, e giacere sotto le quattro ruote del mortale carrozzone del Capitale.
Come il Potere avanzava nel suo cammino nel tempo, sempre di più cresceva il basso, allargando la base sulla quale il Potere è Potere. Abbiamo visto allora unirsi maestri, studenti, artigiani, piccoli commercianti, professionisti, gli eccetera con nomi differenti ma identiche pene.
Non è bastato. Il Potere è uno spazio esclusivo, discriminatorio, selezionato. Quindi, anche le differenze sono state perseguite apertamente. Il colore, la razza, il credo, la preferenza sessuale, sono stati espulsi dal paradiso promesso, essendo l’inferno la loro casa permanente.
Sono seguite poi la gioventù, l’infanzia, la vecchiaia. Il Potere ha così trasformato i calendari in materia di persecuzione. Tutto il basso è colpevole: per essere donna, per essere bambin@, per essere giovane, per essere adulto, per essere anzian@, per essere uman@.
Ma, espandendo lo sfruttamento, la predazione, la repressione e la discriminazione, il Potere ha anche ampliato le resistenze… e le ribellioni.
Abbiamo visto allora, ed ora, alzarsi lo sguardo di molte, molti, muchoas. Differenti ma simili nella rabbia e l’insubordinazione.

domenica 26 febbraio 2017

Sgombero di XM24: a rischio la casa di CampiAperti

XM24, spazio sociale bolognese, sta per essere sgomberato. Facciamo il punto della situazione con il portavoce di CampiAperti, l'associazione che riunisce i piccoli agricoltori che si battono per la sovranità alimentare che da anni vengono ospitati e supportati da questo spazio.


Qualche mese fa abbiamo pubblicato la bella storia di Manuela, che ha coronato il suo sogno di tornare alla Terra, stare a contatto con la natura e promuovere uno stile di vita resiliente ed ecologico. Manuela si batte per i diritti dei piccoli agricoltori e, come avevamo sottolineato, si tratta di una battaglia dura e incessante. In questi giorni infatti, insieme a tutto il gruppo di CampiAperti, di trovare a combattere contro lo sgombero di XM24, lo spazio sociale che li ospita.
La vicenda è lunga e complessa da descrivere per chi non vive a Bologna e non ha seguito il susseguirsi degli eventi, soprattutto nell’ultimo periodo. Vi suggeriamo di leggere questo articolo per una ricostruzione puntuale dei fatti che hanno interessato non solo l’XM, ma tutta l’area urbana che lo circonda, “vittima” di un tentativo mal riuscito di edilizia partecipata che ha portato a un gigantesco cantiere – attualmente fermo per inadempienze – che avrebbe dovuto ridisegnare il volto del quartiere.

Sabato scorso, i rappresentanti di CampiAperti si sono ritrovati per fare il punto sul da farsi e capire come affrontare l’emergenza che rischia di privarli di uno spazio che non solo li ospita fisicamente, ma che – sin dalla nascita del mercato – li ha supportati e incoraggiati. Ne abbiamo parlato con Domenico, portavoce del gruppo.  

martedì 5 luglio 2016

C'E' VITA FUORI DAL CAPITALISMO

C’è vita fuori dal capitalismo


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di Ripess (Rete intercontinentale di Promozione dell’Economia sociale solidale)
Introduzione
Il presente documento è parte di un processo continuo di discussioni e dibattiti sulle concezioni, sulle definizioni e sulle elaborazioni teoriche relativi all’Economia Sociale Solidale (ESS), che ha caratterizzato il lavoro della Rete intercontinentale di promozione della economia sociale solidale (RIPESS), a partire dal suo primo incontro internazionale sulla “globalizzazione della solidarietà”, realizzato a Lima nel 1997. La visione e l’impegno verso la ESS non sono cambiati, ma le definizioni e i percorsi concettuali sottostanti continuano ad evolversi. Nel 2012, il Consiglio di Amministrazione di RIPESS  decise che la visione globale avrebbe costituito un asse portante del 5° incontro internazionale, organizzato a Manila nell’ottobre del 2013. Un processo di consultazione promosso dai membri continentali permise di diffondere e di discutere ampiamente una bozza di questo testo durante vari incontri, teleconferenze e comunicazioni elettroniche. Si è anche creato un foro elettronico sul sito web di RIPESS per raccogliere commenti provenienti da tutto il mondo. Durante l’incontro di Manila, un centinaio di persone hanno partecipato ad un World Café molto animato, diretto ad esplorare in modo approfondito questi concetti e a condividere le rispettive prospettive sul significato della economia sociale solidale (ESS). Il presente documento è frutto dell’insieme di tutto questo processo, così come della Carta di RIPESS che è stata adottata nel 2008 e che contiene i nostri valori, la nostra visione e la nostra missione.

mercoledì 29 giugno 2016

IL DISSENSO CREATIVO

Il dissenso creativo di Danilo Dolci


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Foto tratta da caponnetto-poesiaperta.blogspot.com
Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo “Costruire il cambiamento” ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002):
Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a metà strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre più povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno dà inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorità si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna.
Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all’opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo “sciopero alla rovescia”, con centinaia di disoccupati – subito fermati dalla polizia – impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il “Centro studi e iniziative per la piena occupazione”. Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, “continuazione della Resistenza, senza sparare”. Si intensifica, intanto, l’attività di studio e di denuncia del fenomeno mafiosoe dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse – gravi e circostanziate – rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l’allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966).

martedì 31 maggio 2016

FACCIAMO COMUNE INSIEME

Facciamo Comune insieme


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redazione di Comune
Facciamo Comune insieme
Raccontare il mondo ogni giorno per non abituarsi al dominio
Il tempo del terrore ha rubato la scena del circo mediatico. Quella che chiamano “la dolorosa ma inevitabile rinuncia a un po’ della nostra libertà” sembra aver seppellito anche il tempo della crisi. E poi, dicono i network che contano, il peggio è passato: dalla crisi stiamo cominciando ad uscire. Le guerre devastano il pianetacome forse mai era accaduto prima ma si sa che in passato hanno spesso salvato l’economia. Come avvenne dopo la grande depressione del ’29.
La guerra dei giorni nostri è ovunque, tra gli Stati e dentro gli Stati. Insegue, spietata, perfino chi lascia tutto e fugge per allontanarsene. E poi c’è la guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli, con le sue armi, i muri e i recinti. È la stessa guerra che si combatte contro i fiumi, l’aria e la terra ma soprattutto contro la dignità delle persone per sottometterne ogni aspetto della vita alle insaziabili esigenze dell’accumulazione di denaro e di potere.
È insensato continuare a chiedere ai potenti di fare il contrario di quel che fanno, è assurdo aspettarsi da loro i cambiamenti alla profondità necessaria. Possiamo costruirli noi, ogni giorno, ma dobbiamo imparare ad ascoltare e ad ascoltarci. E poi bisogna inventare uno sguardo diverso sulla realtà e una nuova capacità di sognare. Noi pensiamo che sia essenziale cominciare anche a raccontarli, quei cambiamenti. Vi andrebbe di aiutarci?
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COMUNE2016
VI ANDREBBE DI AIUTARCI?
Per una volta parliamo di noi. Sì, di questa piccola avventura che fra qualche mese vorrebbe compiere quattro anni. Un’età delicata, bella e difficile. Così abbiamo pensato che sia arrivato il tempo di cambiare passo soprattutto su una questione. Quella della consapevolezza di non poter fare da soli. Lo abbiamo sempre saputo, l’abbiamo scritto spesso. Dobbiamo inventare un “come” fare comune insieme. Con chi vuole, come può e quando potrà. Per questo vi chiediamo di condividere un problema e lanciamo una nuova campagna da far vivere ogni giorno. Se questa nostra appassionata fatica serva davvero a qualcuno o a qualcosa, dovrete dircelo voi che leggete. Alla vecchia maniera: poche righe di adesione alla campagna 2016 (info@comune-info.net) per spiegare se e perché volete che Comune continui a esistere ma, per chi può, anche un essenziale sostegno concreto di almeno 20 euro, o 5 euro al mese per tutto il 2016, se preferite
L’ARTICOLO COMPLETO
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Versamenti sul: c/c bancario dell’associazione Persone Comuni
IBAN IT58X0501803200000000164164; Banca Pop. Etica, Roma;
causale Campagna 2016 – È possibile inviare il sostegno anche con PAYPAL
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Grazie per i commenti.

mercoledì 25 maggio 2016

COLTIVIAMO DIRITTI

Campagne Altreconomia ha segnalato la propria adesione
Coltiviamo diritti in campagna 
"Dignità e legalità del lavoro in agricoltura". Aiab, Asgi, Arci e Fondazione "Di Vittorio" (e altri) promuovono un appello per una mobilitazione nazionale contro lo sfruttamento dei braccianti (almeno 430mila persone, secondo l'ultimo rapporto FLAI-CGIL) e il caporalato. Si parte il 28 maggio, a Roma, dov'è in programma un workshop, una giornata di approfondimento, confronto e discussione 

di redazione - 25 maggio 2016
8,26: questa dovrebbe essere la paga oraria (in euro) per i braccianti agricoli, secondo il contratto nazionale; 6,40: questa dovrebbe la durata (in ore) della giornata di lavoro di un bracciante agricolo, secondo lo stesso contratto. Che resta, spesso, sulla carta: in Italia, secondo le stime di Coldiretti e FLAI-CGIL, ogni anno sono almeno 430mila i lavoratori e le lavoratrici che vivono condizioni di sfruttamento e lavoro nero (sul numero di aprile 2016 abbiamo raccontato le storie degli indiani nell’agro pontino). 
“Di questi circa l'80% sono stranieri, da intendere sia come comunitari che provenienti da Paesi terzi. 100mila di essi vivono invece condizioni di grave sfruttamento sino a comprendere casi accertati di riduzione in schiavitù e disagio abitativo. Nei campi agricoli italiani, nel Sud come nel Nord del Paese, parte della produzione, compresa una parte di quella d’eccellenza, viene spesso coltivata attraverso il ricorso alla tratta internazionale, l’intermediazione illecita (caporalato), violenze, truffe spesso anche a danno dello Stato, ricatti in alcuni casi anche di natura sessuale” si legge nell’appello con cui  Aiab, Asgi, Arci, Cgil Nazionale, Cittalia, Flai Cgil, Fondazione Di Vittorio, In Migrazione, Legambiente, Parsec e Res invitano a dar vita ad una campagna nazionale per la “Dignità e legalità del lavoro in agricoltura”. 
 
Si chiamerà “Coltiviamo diritti”, e parte con un workshop in programma sabato 28 maggio 2016, a Roma, presso il MONK, in via Giuseppe Mirri, 35. Una giornata di approfondimento, confronto e discussione, articolata in gruppi di lavoro tematici per valorizzare e favorire l’elaborazione di proposte comuni. 
 
Sono quattro gli obiettivi della campagna: promuovere strumenti per studiare e analizzare il fenomeno e l’applicazione delle norme vigenti, sia italiane che europee, che portino allo sviluppo di politiche per un’agricoltura di qualità e rispettosa dei diritti; costruire iniziative che stimolino le imprese a comportamenti più attenti e eticamente sostenibili e diano ai consumatori migliori strumenti per compiere scelte di consumo più responsabili; costruire un’ampia rete multidisciplinare contro lo sfruttamento in agricoltura, per rafforzare le lavoratrici e i lavoratori, per l’emersione e la legalità del lavoro, per facilitare e proteggere chi reagisce e denuncia; sostenere un’informazione responsabile, corretta ed oggettiva che favorisca una maggiore attenzione sul tema.
 
“Le regole del mercato agro-alimentare, il comportamento delle grandi aziende di produzione, trasformazione e distribuzione, della logistica, della grande distribuzione fino a quello dei consumatori sono tra le principali cause del mancato rispetto dei diritti e della dignità di chi lavora in questo settore -si legge nell’appello-. Per questo motivo metteremo in campo iniziative per spingere queste imprese a comportamenti più attenti e per dotare il pubblico dei migliori strumenti per compiere scelte di consumo più responsabili”.
 
Sullo “sfondo” restano un disegno di legge in attesa di approvazione, per il momento fermo: è il ddl 2217 “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura”
Il reato di caporalato esiste dal 2011, con l’introduzione dell’articolo 603 bis nel codice penale. Che però -per il momento- non colpisce ancora le imprese che sfruttano la manodopera. 
Grazie per i commenti.

giovedì 19 maggio 2016

RIPENSARE LA NOSTRA VITA

Si vive con meno di quanto si pensi


Rifiutare il dominio del consumismo nella vita di ogni giorno, scegliere di non essere schiavi del lavoro, riscoprire l’agricoltura contadina coltivando un orto, creare relazioni solidali per lasciare spazio ad autoproduzioni e scambi. Sono numerose le esperienze con cui, tra informalità e scarsa visibilità, sempre più persone ripensano i modi non solo di lavorare, mettendo al centro un forte desiderio di autonomia, ma soprattutto di vivere. Raccontare e indagare il lavoro vernacolare è l’obiettivo di “Lavoro ecoautonomo” di Lucia Bertell, edito da elèuthera: qui il paragrafo dal titolo “L’orticoltore: «Sicuramente si vive con meno di quanto si pensi»”
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di Lucia Bertell
Nella campagna di Nuoro incontro Mauro Cassini, produttore del Gruppo di acquisto solidale Pira Camusina e della rete Biosardinia. Fa il contadino da alcuni anni, dopo lavori di tipo dipendente.

LA BELLA STAGIONE

La stagione dei referendum sociali


L’autonomia dei movimenti, la consapevolezza dei propri limiti, la voglia di connettere temi (la scuola, le trivellazioni, il ricatto del lavoro, gli inceneritori e l’acqua) e pezzi di società, ma soprattutto il rifiuto del dominio dall’alto. Il puzzle dei referendum sociali mostra, prima di tutto, mondi che vogliono una società diversa, qui e adesso. Ecco perché è un percorso tutto da accompagnare nei territori, a cominciare dal Firma day (14 e 15 maggio), con mille banchetti nelle piazze di tutta Italia
 
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La bella foto che apre questo articolo è di Emma Terlizzese (che ringraziamo)

martedì 12 aprile 2016

LA FINE DELLO SVILUPPO

La fine dello sviluppo che molti rifiutano


di Piero Bevilacqua
Bisogna riconoscerlo, sin dalle origini il rapporto tra la sinistra e l’ambiente (e poi l’ambientalismo) non è stato facile. E forse in modo particolare nel nostro Paese. Un conflitto per così dire fondativo ha contrapposto il lavoro alla natura, l’umana operosità alle ragioni del mondo vivente, il movimento operaio agli equilibri degli habitat naturali. E per ragioni che hanno a che fare innanzi tutto con la dottrina. A partire da Marx. È vero, egli dichiara, sin dal Primo libro del Capitale:
«Il lavoro è prima di tutto un processo fra uomo e natura, un processo nel quale l’uomo, attraverso la propria attività procura, regola e controlla il suo scambio materiale con la natura».
Scambio materiale o organico, il famoso Stoffwechsel. Un riconoscimento importante del ruolo della natura, nella produzione della ricchezza. Ma tale visione rimane confinata sullo sfondo, perché nel pensiero di Marx ha poi il sopravvento la teoria del valore-lavoro. È la scoperta di Adam Smith (peraltro non del tutto sua) secondo cui il lavoro è la fonte di ogni valore: «l’originaria moneta d’acquisto con cui si pagano tutte le cose», come scrive nella Inquiry sulla ricchezza delle nazioni. A cui Marx aggiungerà il disvelamento rivoluzionario della creazione del plusvalore, l’origine dell’accumulazione della ricchezza in poche mani, fondata sullo sfruttamento operaio, e la riproduzione del capitalismo e della società divisa in classi.

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Ma questa scoperta, che orienterà le lotte di tutti i movimenti di ispirazione marxista, e del movimento operaio in generale, dimenticherà le ragioni della natura. La centralità del lavoro e dei suoi interessi prevarranno su quelle del mondo vivente in cui questo pur si svolge. Non voglio ridurre il pensiero di Marx, capace ancora oggi di illuminarci, al marxismo. Questo è ovvio, le dottrine finiscono colo vivere di vita propria. Ma è importante osservare che tale curvatura così esclusivamente antropocentrica del marxismo diventerà ancora più rigida e dottrinaria nella sua trasmigrazione nella Russia preindustriale della Rivoluzione bolscevica. Esso diventerà, inevitabilmente una “teoria dello sviluppo industriale” dal punto di vista operaio. Non per niente Lenin poté definire il comunismo come « l potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese». Che cosa poteva importare del territorio, delle foreste, delle acque dei fiumi, dei grandi laghi della Russia di fronte alla necessità di costruire una nuova società attraverso l’espansione dell’industria? L’uomo nuovo sovietico era un lavoratore-titano che plasmava a sua immagine il mondo intorno a sé. Non ci dovremmo perciò stupire se in Unione Sovietica – come ha ricordato lo storico John MacNeil – nella seconda metà del ‘900 furono utilizzate piccole bombe atomiche per sventrare montagne e aprire miniere. In Cina da decenni vanno costruendo il comunismo provocando catastrofi ambientali.
Neppure miglior fortuna ha avuto il mondo naturale nel pensiero rivoluzionario italiano. Nel nostro teorico più grande, Gramsci, non c’è posto per le sorti della natura. Anche in lui il processo storico è pensato secondo la curvatura dello sviluppo industriale, leva dell’umana emancipazione. In uno dei suoi Quaderni più anticipatori, Americanismo e fordismo, di fronte all’organizzazione tayloristica del lavoro Gramsci ha uno sguardo di sconcertante provvidenzialità teleologica. «La storia dell’industrialismo – scrive – è sempre stata (e lo diventa oggi in una forma più accentuata e rigorosa) una continua lotta contro l’elemento “animalità” dell’uomo, un progresso ininterrotto, spesso doloroso e sanguinoso, di soggiogamento degli istinti (naturali, cioé animaleschi e primitivi) a sempre nuove, più complesse e rigide norme e abitudini di ordine, di esattezza, di precisione che rendano possibili le forme sempre più complesse di vita collettiva che sono la conseguenza necessaria dello sviluppo dell’industrialismo».

D’altra parte l’Italia, Penisola di antichissima antropizzazione non ha una tradizione culturale favorevole allo sviluppo di una narrazione naturistica dell’umana vicenda. Dominata da mille città, che hanno assoggettato per millenni i loro contadi, non poteva certo generare élites sensibili ai problemi degli equilibri degli habitat, se non per fini di sfruttamento economico. Come è accaduto con le bonifiche. L’avvento delle società industriali – la fase storica a partire dalla quale è legittimo e non anacronistico aspettarsi sensibilità ambientale – non produce in Italia le reazioni protoambientalistiche che si verificano ad esempio negli Usa. Qui nell’Ottocento sterminati lembi di wilderness, di natura incontaminata apparvero minacciati dallo sviluppo industriale. In Germania i piccoli villaggi circondati da boschi – modello prevalente degli insediamenti umani in quel paese– furono sconvolti in pochi decenni alla fine dell’Ottocento, generando una vasta opposizione destinata a grande influenza sul pensiero politico ed ecologico tedesco. E non meno cura per il mondo naturale creò, per contrasto, la rivoluzione industriale nelle élites inglesi, a partire da quel secolo. Niente di tutto questo in Italia, che arriva tardi all’industrializzazione Uno sviluppo concentrato peraltro, nel Triangolo Milano-Torino-Genova, in gran parte manifatturiero e perciò di limitato impatto ambientale. Si comprende allora come sia potuto accadere che nel corso del Novecento è sorto accanto al fragile gioiello di Venezia, il Petrolchimico di Porto Marghera; in uno dei siti più incantevoli del Belpaese, a Bagnoli, l’Italsider, e poi l’Ilva nei due mari di Taranto, i vari stabilimenti petrolchimici a Brindisi, Gela, Priolo, ecc. cioé in località marittime con habitat delicati e ad alta vocazione turistica. E non stupisce, peraltro, che in un paese afflitto da disoccupazione endemica, le posizioni ambientaliste siano state minoritarie nel Pci e nel sindacato.
Solo dopo Cernobyl, non solo il ceto politico, ma anche gli italiani scoprono la fragilità della natura in quanto minacciata dall’inquinamento. E solo negli ultimi decenni, l’ambientalismo è diventato di massa – con le lotte contro gli inceneritori, le discariche, le centrali a carbone, ecc. – allorché le popolazioni hanno scoperto, tramite i danni prodotti dall’inquinamento alla salute, quella natura insuperabile che è in ognuno di noi. La natura è stata scoperta nel corpo vulnerabile degli uomini. È stata la malattia a mandare gambe all’aria il vecchio storicismo antropocentirico. Grandi masse di cittadini hanno scoperto che la storia ha cambiato il suo corso e la crescita economica non genera di per sé benessere e progresso. Il nuovo ambientalismo italiano oggi parla un linguaggio che non è più “sviluppista”, scopre il valore storico dei territori, della natura antropizzata e trasformata in paesaggio e bellezza, e il ceto politico
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