Loro distruggono? E noi ripiantiamo
La resistenza palestinese raccontata da un alberello di origine caraibica sfuggito alla furia dell’esercito israeliano e alle motoseghe dei coloni. Tre piante diPsidium guayava, da noi più nota come guava e jawafa nella Striscia di Gaza, sono partite dalla Palestina e arrivate in Italia viaggiando in una valigia. Una cresce florida e darà i suoi preziosi frutti in un assolato giardino di Scalea, le altre mettono rami e foglie su un balcone romano. La famiglia delle mirtacee, con i suoi meravigliosi fiori bianchi, è certamente orgogliosa di questi suoi straordinari esemplari. Anche perché raccontano, a chi sappia ascoltare, come la resistenza, la capacità di lottare e restar vivi anche quando ci viene sottratta la libertà (e perfino la luce), riesce sempre a sorprenderci. Non è poi così raro che la vita si diverta, come Mohammad nelle serre di Beit Lahia, a farsi beffe di chi trascorre gran parte del suo tempo a cercare inutilmente di spegnerla e umiliarla
di Patrizia Cecconi
La conobbi a Beit Lahia, a nord di Gaza. Era il febbraio 2013 e faceva più freddo di quanto immaginassi potesse fare là, nella Striscia, sul mare.
Nelle serre di Beit Lahia il rappresentante degli agricoltori, una vera forza della natura che buttava nella sua risata fragorosa sia i racconti delle torture subite nei tanti arresti, sia lo spregio verso i distruttori dei campi coltivati dicendo “Loro distruggono? E noi ripiantiamo e moltiplichiamo”, proprio lui me l’aveva fatta conoscere in forma di alberello. Aveva fatto tagliare fronde e radici di tre piccoli esemplari in modo che io potessi infilarli in valigia insieme a tutti gli altri alberini che avrebbero beffato l’assedio venendo a portare il loro messaggio in Italia. Lui rideva come un matto alla mia idea e pensava che non ce l’avremmo fatta. E invece si sbagliava! Le nostre valigie piene di spezie, miele di palma e alberi sfuggiti all’assedio vennero incellofanate e varcarono serenamente le frontiere. Alla domanda “Nulla da dichiarare?” rispondemmo sorridendo “nulla”. E gli alberelli di jawafa entrarono con noi e con tutto il resto.
Il nome scientifico di questa pianta, conosciuta anche come guava, è Psidium guayava e si tratta di un alberello caraibico appartenente alla famiglia delle mirtacee, con un frutto che somiglia a una pera e con un profumo intensissimo, che però fino a quel momento non mi aveva mai incuriosito. Poi, dopo averla conosciuta cominciai a studiarla.
La guava arrivò in questa parte del mondo verso il 1500 insieme a diversi suoi fratelli dall’America centro-meridionale. Il frutto era già noto agli Aztechi che lo apprezzavano per le sue qualità nutritive e medicinali, come ci fa sapere nel suo “De la natural Historia de las Indias” il famoso storico naturalista spagnolo Hernandez de Oviedo, dapprima estimatore delle colonie nei territori americani e successivamente fermo accusatore delle violenze dei colonizzatori contro gli indigeni. La guava, nel suo trasferimento dall’America alla Palestina avrebbe ancora visto scene simili a quelle denunciate da Hernandez de Oviedo a distanza di 500 anni. Ma gli alberi si sa, sono muti e seguitano a fiorire quale che sia il contesto umano in cui si trovano e così la guava, purché abbia terreno drenato e temperatura che non scenda sotto lo zero, si adatta e fruttifica. Infatti si è ben adattata nella striscia di Gaza e in diverse parti della Cisgiordania, in particolare a Qalqilia, città completamente e illegalmente murata dalle forze occupanti, dove cresce altrettanto bene che se il muro non ci fosse.
Della guava si può consumare tutto, anche le foglie. Un frutto di grandezza media pesa circa 400 grammi che corrispondono a ben 2000 mg di antiossidanti, al cui confronto i 1200 di 4 etti di prugne o i 520 di altrettante mele e melegrane sembrano poca cosa. Contiene magnesio, potassio, fosforo e calcio e i suoi semi, eduli come tutto il resto, contengono iodio.
Se mettiamo da parte il piacere del gusto e consideriamo soltanto i benefici per la salute diciamo subito che il frutto va usato con cautela da chi soffre di ipotensione, mentre è un valido rimedio per ridurre la pressione sanguigna, il colesterolo e i trigliceridi. Il succo, pur essendo naturalmente dolce, ha la proprietà di ridurre gli zuccheri nel sangue e quindi può essere consumato, anche in funzione terapeutica, da chi soffre di diabete. Un frutto di grandezza media contiene meno di 100 calorie e questo ne fa un sicuro alleato nelle diete antiobesità.
L’alberello è un sempreverde, normalmente di piccola statura ma a volte riesce a raggiungere i 7 metri. Fiorisce a primavera inoltrata e i suoi fiori, composti da 5 petali bianchi e numerosi stami, sono bellissimi, come quelli del mirto, ma più grandi e più intensamente profumati. Il frutto matura in autunno inverno ma nei suq palestinesi lo si può trovare quasi sempre. Il colore della buccia varia dal giallo al verde al rosato e così anche la polpa.
Anche i fiori possono essere usati, in infuso, e servono a curare la bronchite. Basta versare acqua bollente su una manciata di fiori freschi o essiccati, coprire, filtrare e bere dopo 5 minuti. Due tazze d’infuso di fiori e un bicchiere di succo al giorno possono risolvere il problema dato che, in particolare nel succo, sono contenute: la vitamina A che aiuta a mantenere integre le pareti polmonari, la vitamina C che aumenta le difese dalle infezioni e la vitamina B9 che fluidifica il muco bronchiale.
Anche dalle foglie si ottengono con estrema semplicità decotti e infusi preziosissimi per le proprietà antispasmodiche capaci di controllare gli attacchi epilettici e di offrire sollievo ai terribili dolori provocati dall’artrite reumatoide. Non ho potuto verificare l’efficacia antiacne dell’infuso e del succo ma non sarà un esperimento difficile e, soprattutto, non sarà certo dannoso! Ho invece verificato che un infuso di foglie secche (6 foglie in mezzo litro d’acqua bollente) se bevuto caldo ha proprietà spasmolitiche in caso di mestruazioni dolorose mentre, se bevuto appena tiepido e tenuto in bocca come colluttorio, ha proprietà analgesiche in caso di mal di denti e stomatiti. Inoltre, mentre il frutto maturo è leggermente lassativo, l’infuso di foglie può essere usato come antidiarroico e come antibatterico nelle gastroenteriti.
Insomma lo Psidium guayava è una vera benedizione della natura e mi chiedo perché non ho mai sentito i medici del mio paese consigliarne il consumo a chi si trova in radio o chemioterapia, eppure, riuscendo a riparare il DNA danneggiato dalle radiazioni e dalle tossine, sarebbe un valido coadiuvante per la ripresa delle funzioni vitali nelle cure antitumorali.
Sul mio balcone ho conservato due alberelli. Non fruttificheranno, non c’è il sole di Gaza né quello di Qalqilia e il mare è a 35 chilometri, ma mettono rami e foglie e sono utili per gli infusi e belli da vedere. Il terzo alberino, invece, è stato piantato in un giardino in Calabria, a Scalea vicino al mare, e Olimpia, la proprietaria del giardino, ha fatto fare una targa in vetro con i colori della Palestina in modo che tutti sappiano da dove arriva questo gioiello della natura: dall’altra parte del mare, nonostante tutto!
Patrizia Cecconi, studiosa di psicologia sociale e presidente dell’associazione Amici della mezzaluna rossa palestinese rossa. Ha scritto diversi libri: Lessico deviante eVagando di erba in erba. Racconto di una vacanza in Palestina, Città del sole edizioni; Belle e selvatiche. Elogio delle erbacce Chimienti editore. Tra le molte altre cose, cura un blog dedicato alla vita delle piante in Palestina, la terra che le scorre nelle vene, dove pubblica i testi che ha scelto di inviare a Comune-info e all’agenzia di stampa Nena News, diretta da Michele Giorgio, storico corrispondente delmanifesto, la fonte italiana più autorevole e attenta alle notizie mediorientali.
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