venerdì 30 novembre 2012
articolo Manifesto su Terre demaniali
Terre demaniali: Bologna cuore delle campagne nazionali per la loto tutela
Circa un anno fa veniva approvata la legge di stabilità 2012 (ex legge
finanziaria), che norma e definisce, secondo l’art.7, la dismissione dei
terreni agricoli demaniali. Quest’articolo, poi rivisto e modificato
nell’art.66 del DDL 24 Gennaio 2012, n°1, pone le basi per la vendita di
terreni demaniali, con lo scopo di coprire una parte del debito
pubblico.
In sintesi l’applicazione di questo decreto è spendibile su tutto il
territorio nazionale, laddove i terreni agricoli non siano “utilizzabili
per altre finalità istituzionali”, art.66, 1. Rientrano in questa
dicitura differenti beni paesaggistici e produttivi, quali le aree
protette (per cui “l’agenzia del Demanio acquisisce preventivamente
l’assenso alla vendita da parte degli enti gestori delle medesime aree”
art.66,6), e le aree che, “su richiesta dei soggetti interessatic,
possono essere vendute da comuni, province, regioni, essendo proprietà
di queste ultime.
L’estensione di questi territori non è di facile censimento, anche in
virtù di precedenti decreti legislativi che ne hanno modificato
l’entità, ma secondo la Coldiretti si tratta al momento di circa 338
mila ettari di terreni agricoli coltivabili, per un valore di circa 6,2
miliardi di euro. Sono, inoltre, zone agricole demaniali anche i
territori caratterizzati dagli usi civici. Il diritto d’uso civico è
vincolato all’utilizzo collettivo e indiviso di un dato patrimonio
ambientale, affonda le radici nella storia di produzione agricola e di
allevamento locale dei comuni rurali e montani.
La proprietà e la gestione collettiva della terra rimane oggi un diritto virtuale, radicato nella memoria di territori specifici, che numerose realtà in Italia stanno cercando di rivitalizzare. Questi sono i territori che fra solo vent’anni potranno, sempre secondo l’art.66, 8, ricevere una differente destinazione d’uso rispetto quella agricola attuale. Parallelamente al censimento da parte delle amministrazioni locali delle aree vendibili per sottoporle ad asta o a bandi di cessione diretta, sono nati in tutto il territorio nazionale gruppi locali che si occupano della registrazione dei territori demaniali gravati da una storia di uso civico. Lo scopo è quello di avere una considerazione reale dell’estensione di questi terreni, di evitare speculazioni e poter controllare, o bloccare, le vendite.
La proprietà e la gestione collettiva della terra rimane oggi un diritto virtuale, radicato nella memoria di territori specifici, che numerose realtà in Italia stanno cercando di rivitalizzare. Questi sono i territori che fra solo vent’anni potranno, sempre secondo l’art.66, 8, ricevere una differente destinazione d’uso rispetto quella agricola attuale. Parallelamente al censimento da parte delle amministrazioni locali delle aree vendibili per sottoporle ad asta o a bandi di cessione diretta, sono nati in tutto il territorio nazionale gruppi locali che si occupano della registrazione dei territori demaniali gravati da una storia di uso civico. Lo scopo è quello di avere una considerazione reale dell’estensione di questi terreni, di evitare speculazioni e poter controllare, o bloccare, le vendite.
Le risposte attivate da questo decreto sono molteplici e destinate ad
aumentare, visto la cadenza annuale (sempre entro il 30 Giungo)
dell’alienazione dei terreni. All’interno di questo dibattito,
CampiAperti, associazione bolognese di produttori e consumatori nata da
circa una decina d’anni che trova nei settimanali mercati autogestiti
del biologico un mezzo di sensibilizzazione importante, ha incentivato
riflessioni, sollevato dubbi e proposto alternative, cominciate
anzitutto sul territorio di Bologna e confluite in campagne di
diffusione con risonanza nazionale.
La campagna “Terra bene comune”, ad esempio, sostiene la necessità di
gestione di questi territori, in quanto bene collettivo, da parte delle
comunità che vi sono insediate e quindi l’inalienabilità, senza consenso
della popolazione tutta, degli stessi. Attraverso il blocco delle
vendite e la tutela del patrimonio collettivo si alimentano le
potenzialità insite nel ripensamento delle finalità e delle modalità di
sfruttamento e di gestione dei territori specifici sulla base delle
esigenze delle popolazioni locali.
Con la richiesta di svincolare quelli dalla possibilità di speculazioni,
“Terra bene comune” nasce in seno alla più ampia campagna nazionale
“Genuino Clandestino”, volta alla difesa dei piccoli produttori agricoli
locali e alla denuncia delle norme che li penalizzano, ad incentivare
le politiche di filiera corta che garantiscano una relazione diretta tra
i produttori e i consumatori, in una relazione vincolata reciprocamente
dalla responsabilizzazione riguardo il mercato alimentare e il futuro
della produzione agricola sostenibile italiana.
Una terza iniziativa sta nascendo in questi mesi sul territorio
comunale, in relazione alle precedenti e si tratta del progetto “Accesso
alla Terra”. Per quanto non si occupi esclusivamente della vendita
delle terre demaniali, la fondazione con proprietà collettiva che si sta
creando, in collaborazione con MAG6 (Mutua Auto Gestione) di Reggio
Emilia, vuole connettere la necessità di rivitalizzare le terre agricole
abbandonate e il desiderio dei “nuovi contadini” di poter praticare
quest’attività. Proponendo di raccogliere i sostegni finanziari di chi
desidera partecipare all’iniziativa per l’acquisto di fondi agricoli da
ridistribuire agli aspiranti piccoli produttori, il progetto cerca di
superare il gap esistente fra l’esistenza di una fascia di popolazione
che desidera tornare alla produzione agricola e la difficoltà nel
reperire i finanziamenti per poter intraprendere una tale attività.
La catena che lega produttore e consumatore, in questa maniera è
vincolata dalla proprietà collettiva e da un “controllo partecipato” che
garantisce le modalità di produzione. Contrapponendosi alla politica di
privatizzazione dei beni comuni, che rischia di disancorare
negativamente la popolazione dalla memoria locale, queste campagne
attivano positivamente delle riflessioni a riguardo della relazione tra
popolazione, territorio e produzione agricola, diritto alla terra e
necessità di presa in carico da parte della popolazione dell’ambiente,
della socialità e della responsabilità nella cura che non possono venire
delegate. L’approvazione dell’art.66 ha riaperto un dibattito mai
sopito sulla gestione di ciò che è pubblico, privato e collettivo, su
aree fino ad oggi per lo più tralasciate dall’interesse generale, un
dibattito a cui è necessario dare spazio poiché tratta della
trasmissibilità del nostro patrimonio sociale e ambientale.
Grazie per i commenti.
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