lunedì 2 dicembre 2013

E' TEMPO DI AUTOPRODUZIONE

Il tempo dell’autoproduzione

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Foto: Un momento del laboratorio di autoproduzione della pasta, fettuccine e maltagliati, presso lo spazio occupato Scup, a Roma, domenica 1 dicembre (promosso dal Laboratorio itinerante della decrescita durante il mercato Ecosolpop).
di Alberto Castagnola 
Autoproduzione. Con questo termine si indicano molteplici  attività tutte basate sul lavoro delle persone senza ricorrere alle macchine, anche le più semplici, utilizzando le proprie mani e acquisendo continuamente nuove conoscenze e nuove capacità, che un tempo erano condivise dalla quasi totalità degli abitanti del pianeta e che oggi si comincia a pensare che debbano essere riscoperte e riconquistate per ridurre l’apporto di ciascuno ai danni che gli essere umani stanno arrecando al pianeta.

L’urgenza del ritorno a modalità antiche di soddisfare le esigenze essenziali per la sopravvivenza e la qualità della vita è imposta dal fatto che le tecnologie in continuo aumento, il ricorso sempre più massiccio alle macchine per automatizzare anche le operazioni più semplici, e soprattutto l’uso illimitato di combustibili fossili per alimentare un numero crescente di macchinari, stanno pesantemente  modificando i meccanismi biologici di piante e animali, arrecando danni ormai fuori controllo al clima e incidendo sullo stato di salute di intere popolazioni. Ovviamente, se non si ha una percezione corretta della situazione attuale del pianeta e soprattutto delle sue prospettive a breve termine, non si può comprendere il ruolo essenziale che la filosofia dell’autoproduzione può svolgere subito e nei prossimi anni; in ogni caso riappropriarsi della manualità e del rapporto diretto con le produzioni più essenziali svolge un ruolo di estrema importanza negli equilibri psicologici degli esseri umani e nella qualità delle relazioni, ormai ridotte ai minimi termini nella vita convulsa dei centri urbanizzati.
1472890_646423295401651_1945082587_nI rapporti con le materie prime
Vediamo ora con ordine come le attività di autoproduzione si pongono nei confronti delle materie prime in senso lato (minerali e altre sostanze di origine naturale, fonti di energia, suolo e acque, dolci e salate). E’ evidente che specie negli ultimi decenni ne è stato fatto un uso assolutamente sproporzionato rispetto ai giacimenti e alle riserve stimate, ma soprattutto rispetto alle loro effettive disponibilità nei prossimi anni. Le autoproduzioni, in linea di massima, utilizzano poche materie prime, riducono al massimo gli sprechi e i rifiuti, sono in grado di riutilizzare prodotti obsoleti e parti di macchinari, tendono a consumare poca acqua e poca energia; ciò non significa che si torna al tempo delle caverne o del mondo rurale, ma che si possono usare tecniche e utensili ad alta precisione e scientificamente avanzati anche per fare lavori molto semplici e molto vicini alle reali esigenze umane.
Il recupero delle capacità manuali
Ridurre drasticamente la dipendenza dalle macchine e dall’informatica e l’uso di prodotti industriali e risultanti da trasformazioni chimiche e usare oggetti lavorati con le proprie mani e usando materiali come il legno o l’argilla, le sostanze vegetali e i colori naturali, comporta il graduale recupero delle capacità manuali e creative, in quanto occorre immaginare cosa può uscire dai materiali prescelti e ricorrere spesso a metodi di lavorazione inventati e a forme originali. Inoltre il piacere fisico di essere in contatto diretto con i materiali è tra le facoltà e le emozioni che le società cosiddette avanzate hanno fatto scomparire e che richiedono un certo sforzo per arrivare a riappropriarsene e per sentire intimamente propri i risultati ottenuti. Si possono perfino reinventare soluzioni e tecniche fatte scomparire da tempo, e che invece conservano ancora la capacità di stupire e di incuriosire.
Sottrarsi agli sprechi e alle logiche del capitale senza limiti
IMG_4070[1] (1280x960)dNel loro insieme, le attività di autoproduzione evitano di acquistare continuamente oggetti ai prezzi imposti dai produttori, spesso indipendenti dal valore effettivo o dai prezzi delle materie prime o dell’energia utilizzate e rispondenti solo alla ricerca del profitto da parte di coloro che decidono la loro produzione o traggono degli utili dalle attività di trasporto e commerciali. Si tratta quindi di una sottrazione alle logiche del sistema dominante che può raggiungere anche livelli consistenti. Inoltre permette in larga misura di isolarsi dall’azione deleteria delle pubblicità che inducono al consumo anche inutile e causano fenomeni patologici di acquisti compulsivi. L’autoproduzione comincia inoltre ad abituare le persone a utilizzare solo gli oggetti che sono strettamente necessari o che si ha piacere di realizzare, introducendo nei rapporti con il pianeta il concetto di limite, che il sistema capitalistico non può di fatto rispettare. Tra  i circa duecento oggetti di cui dispone in media un africano non urbanizzato e i diecimila circa dei quali noi sentiamo assoluto bisogno, si può tranquillamente pervenire ad una disponibilità di circa un terzo senza intaccare le nostre comodità o i nostri desideri di varietà, ma eliminando quasi completamente i meccanismi di accumulazione di oggetti di cui non si ha realmente bisogno o che usiamo in modo assolutamente saltuario. Il pianeta, intanto, potrebbe respirare, recuperando in parte la sua capacità di riproduzione di molte risorse essenziali, dall’acqua al suolo, dai pesci alla diversità genetica.
Creare lavoro non retribuito ma utile
La diffusione delle autoproduzioni deve anche essere presa in considerazione in termini di posti di lavoro realmente disponibili e disoccupazione, specie giovanile, rapidamente crescente. E’ evidente che la valorizzazione delle attività delle persone al di fuori dello schema del lavoro retribuito fa emergere una serie di attività che dovrebbero essere promosse e incentivate ma anche evidenzia una serie di occasioni di lavoro concepite in modo tradizionale, come tutti i maestri artigiani che sarebbero necessari per moltiplicare le attività di autoproduzione, per i capomastri che dovrebbero insegnare le tecniche costruttive e di manutenzione di case, di ripari per animali e di muri di cinta o come i fabbri che dovrebbero insegnare le modalità di realizzazione di infissi, di sedili e di cancelli.
Ma soprattutto diventerebbero attività “economiche” tutte quelle svolte già attualmente all’interno delle abitazioni o delle fattorie, alimenterebbero flussi di consumo di beni essenziali, porrebbero le basi di una economia completamente diversa, non dannosa per l’ambiente e la salute, ma soprattutto fondata su un lavoro umano non dipendente dalle macchine, fonte di infinite valorizzazioni umane e con occasioni di espressione artistica divenuta impossibile nelle catene di montaggio e nei ritmi frenetici dei lavori attuali. Una occupazione diffusa, che garantisce la soddisfazione de bisogni e dei servizi essenziali, che può coinvolgere sempre più persone che alimenta l’autostima di quanti vi sono impegnati.
IMG_3308[1]Prepararsi al nuovo paradigma
Se poi si ritiene che il sistema attualmente dominante dovrà in tempi piuttosto stretti modificare radicalmente le sue logiche per affrontare gli alti prezzi dei combustibili fossili, le spese di riconversione della struttura produttiva per eliminare le emissioni inquinanti e climalteranti, le carenze fisiche di minerali essenziali per le industrie, le difficoltà di disporre di energia e di acqua in quantità sufficiente per i grandi impianti, il dover arrestare la pesca per dare tempo ai mari di ricostituire il patrimonio ittico, l’obbligo di bloccare l’espansione incontrollata dei centri urbani e così via, le capacità di autoproduzione espresse da larghe masse di persone si riveleranno fondamentali per la sopravvivenza e la sussistenza in moltissimi paesi. Le esperienze spesso minimali che vengono avviate nella attuale fase di transizione si potrebbero rivelare come una preparazione ai cambiamenti radicali prevedibili in un breve lasso di tempo, la cui importanza può difficilmente essere sopravvalutata anche nei paesi più industrializzati. Quelle iniziative che oggi vengono ancora lette come espressione delle scelte futuristiche di una ristretta minoranza che opera in una poccola nicchia potranno rivelarsi come delle esperienze preziose che hanno anticipato i tempi e che hanno preparato un certo numero di persone ad affrontare prima le catastrofi e poi dei modelli di vita completamente nuovi, ma che saranno finalmente in equilibrio con le dinamiche del pianeta e della biosfera.
Riprendere contatto con la natura
Le esperienze in corso mostrano anche con chiarezza i piaceri e le emozioni che si riscoprono entrando direttamente in contatto con le infinite varietà di natura. Lavorare con le proprie mani richiede di toccare continuamente il legno, l’argilla, le pietre, gli alimenti da raccogliere; porta alla conoscenza dei ritmi delle stagioni e delle giornate, e alla opportunità di muoversi in armonia con essi; dalle nostre mani emergono i sapori spesso dimenticati dei buoni cibi, escludendo i veleni nel piatto e gli errori di alimentazione, le trasformazioni e gli additivi chimici. I lavori di raccolta e quelli di conservazione permettono di lavorare all’aperto e di apprezzare nuovamente i profumi della foresta e le immagini delle piante in fiore o cariche di frutti. I figli piccoli conoscono finalmente la vera origine del latte, delle frutta, delle verdure e possono partecipare attivamente alla raccolta e alla preparazione dei cibi per se stessi e per gli altri membri della famiglia o della comunità della quale fanno parte. Invece di sentirci impotenti di fronte ad una alimentazione che ha subito tante trasformazioni industriali e chimiche, possiamo finalmente controllare di persona la qualità dei cibi e decidere le forme di alimentazione che possiamo scegliere personalmente con piena conoscenza delle caratteristiche, dei valori nutritivi, dei rischi per la salute, delle possibili cure naturali.
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Condividere la gioia del lavoro collettivo
Non si può inoltre trascurare il fatto che i lavori di autoproduzione si prestano moltissimo ad attività collettive, nelle quali i valori e le occasioni relazionali si intrecciano armoniosamente con gli impegni delle diverse lavorazioni. Molte di queste possono anche essere rese meno pesanti da una divisione del lavoro che tenga conto delle capacità di ciascuno, mentre le persone con più esperienza possono passare conoscenze e tecniche di lavoro alle persone ancora poco esperte, tramandando inoltre i cibi che costituiscono il patrimonio culturale di ogni località.
Anche il lavoro collettivo, in assenza di qualunque struttura gerarchica e di qualsiasi forma di dominio e di controllo, potrà diventare una caratteristica significativa delle future società rispettose dell’ambiente e della biosfera. Potrà inoltre diventare una modalità utile e stimolante anche per la fruizione dei prodotti culturali e artistici, nonché per le attività di assistenza sanitaria e per quelle legate all’istruzione elementare dei bambini.
Rendersi conto di quanto è stato importante il lavoro delle donne e di come sarà essenziale in futuro
“Da un manuale del 1555: Quali lavori una donna dovrebbe svolgere: Per prima cosa sistema tutto in bell’ordine nella tua casa, mungi le vacche, dai il latte ai tuoi vitelli, filtra il latte, prepara frumento e malto per il mulino, da infornare e far fermentare, …fai il burro e il formaggio appena puoi, cura il maiale mattina e sera, fa attenzione a dove depositano le uova le tue galline, le anatre e le oche, e quando mettono al mondo i loro uccelli, vedi che siano ben protetti da cornacchie e altri parassiti”. Questo non è che il primo giro dei lavori da fare, poi ci sono i doveri stagionali: marzo è il momento in cui la moglie prepara l’orto e il periodo in cui semina lino e canapa, che poi dovrà ripulire dalle erbacce, raccogliere, innaffiare, lavare, essiccare, battere, polverizzare, separare con un pettine, filare, arrotolare, avvolgere e tessere. Con quello che ricavava dalla tessitura, la massaia doveva poi: fare lenzuola, tovaglie, salviette, camicie, grembiuli e altre simili cose necessarie; se il marito possedeva delle pecore, doveva ripetere tutta la procedura per la lana….L’autore poi mostra la consueta preoccupazione patriarcale sui pericoli della “pigrizia” femminile, intimando severamente “ nel frattempo fai altre faccende”. E prosegue affermando che è responsabilità di una moglie: spulare tutti i tipi di cereali, preparare il malto, lavare e strizzare, fare fieno, cimare il granturco e, se sorge la necessità, aiutare il marito a riempire il carretto del letame o la carriola del concime, condurre l’aratro, caricare il fieno, il grano e altro. Inoltre, andare al mercato e vendere quanto ha prodotto, comprare tutto ciò che è necessario per la casa e fare i conti giusti e riferire al marito cosa ha ricevuto e cosa ha pagato.” (Tratto da “Chi ha cucinato l’ultima cena?” di Rosalind Miles, Elliot, Roma, 1988-2009 (pag 239 -240)
L’autore di questo testo angosciante voleva certamente inculcare nelle donne dei doveri e degli obblighi, utili per favorire la sottomissione più completa agli uomini; ha però evidenziato senza rendersene conto la gran quantità di conoscenze e di scoperte che le donne hanno fatto nei secoli, e l’apporto fondamentale che hanno dato all’evoluzione dell’umanità.
In un altro punto dello stesso testo (pag. 242) l’autrice sottolinea che le donne fabbricavano anche gran parte degli utensili che si utilizzavano in casa e nei lavori agricoli, confermando ed evidenziando ulteriormente la potenza creativa delle mani delle donne.
Le scelte in favore di una autoproduzione anche proiettata nel futuro, come caratteristica di società ben diverse da quelle attuali, vedrà quindi le donne svolgere compiti essenziali, superando tutti i problemi relativi alla supremazia degli uomini; la prospettiva è quella di una sostanziale parità tra i generi, imposta dalla necessità di superare tutte le difficoltà derivanti dal passaggio a modelli di convivenza molto più ecologici. La trasformazione sarà però agevolata moltissimo dalle capacità di autoproduzione che le donne hanno sperimentato senza diseguaglianze per molti e molti secoli e che potrà diffondersi anche tra gli uomini, senza però alcuna possibilità di aspirare ad una qualunque supremazia.

Elenco puramente indicativo delle più significative attività di autoproduzione
Panificazione naturale con pasta madre
Pane cotto al sole
Preparare conserve
Preparare marmellate
Produrre Sapone di Marsiglia
Preparare biodetersivi
Produrre dentifricio vegetale in polvere
Preparare cosmetici
Seminare noccioli di frutta
Essiccare frutta al sole
Coltivare germogli
Usare forni solari
Costruire solare termico
Carte e cartoni da riusare per messaggi e regali
Costruire ecolibri per bambini
Compostaggio domestico
Realizzare orti urbani
Per molti e interessanti suggerimenti, (e siti preziosi) consultare: Marinella Correggia, “Io lo so fare”, piccola guida all’autoproduzione, Altreconomia, Milano, 2008
Per l’abbigliamento, vedi: Deborah Lucchetti, “I vestiti nuovi del consumatore”, Altraeconomia edizioni, Milano, marzo 2010

DA LEGGERE
Autoprodurre, mangiare, fare insieme sono parte di quel recupero di iniziativa per la trasformazione profonda della società che non si traduce più in richieste al mercato o allo Stato. Non sono solo i tre temi di un nuovo dossier, ma i contenuti di un vero laboratorio di idee, incontri e pratiche promosso da Comune

Grazie per i commenti.

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