L’Agroecologia dall’America Latina all’Italia L’organizzazione in Italia di percorsi formativi in Agroecologia scaturisce dalla necessità di fornire agli agricoltori italiani una base teorico-pratica sulla quale formulare nuove ipotesi di produzione e di gestione dell’azienda e dell’ecosistema agricolo. Circa il 7% della superficie agricola del paese è interessato dalla produzione biologica, ma molto spesso si assiste ad una riproduzione in chiave bio dei modelli produttivi proposti e applicati dall’agricoltura tradizionale, come la monospecificità delle colture e il ricorso a dosi massicce di inputs esterni all’azienda. Un esempio molto calzante è il diffusissimo uso, in agricoltura biologica, di piretro, potente insetticida di origine naturale ma con elevato grado di tossicità. Oppure, la scarsa attenzione per l’ecosistema agrario anche da parte di alcuni produttori biologici è testimoniata dalla pesante meccanizzazione che porta con sè arature profonde che sconvolgono la vitalità del suolo. La proposta di seminari di Agroecologia in Italia condotti dagli esperti latinoamericani nasce dalla convinzione di potere trasferire esperienze di successo anche nel contesto italiano, nell’ottica della creazione di una rete di interscambio fra paesi in cui l’Italia possa essere beneficiario e protagonista allo stesso tempo di un percorso volto alla creazione di un modello di agricoltura rigenerativa.
Ciò che siamo, la terra da cui proveniamo, come nutriamo il pianeta e come ci nutriamo, sono temi che non riguardano solamente l’agricoltura e le sue differenti tecniche. Riguardano un approccio più ampio e profondo, che partendo dall’agricoltura investe diversi ambiti fra i quali quello culturale e sociale. Anche in Italia, l’agricoltura può farsi veicolo di un cambiamento culturale e sociale più vasto, che indaghi tematiche quali il rapporto dell’uomo con gli ecosistemi, il recupero delle tecniche agricole ancestrali, la tecnologia come elemento di innovazione e sviluppo se accostata al rispetto della natura e dell’uomo.
http://www.agricolturaorganica.it/agroecologia/
Grazie per i commenti.
venerdì 11 gennaio 2013
giovedì 10 gennaio 2013
the tragedy of waste
GLOBAL FOOD
WASTE NOT, WANT NOT
Feeding the 9 Billion: The tragedy of waste
Such a projection presents mankind with wide-ranging social, economic, environmental and political issues that need to be addressed today to ensure a sustainable future for all. One key issue is how to produce more food in a world of finite resources.
Today, we produce about four billion metric tonnes of food per annum. Yet due to poor practices in harvesting, storage and transportation, as well as market and consumer wastage, it is estimated that 30–50% (or 1.2–2 billion tonnes) of all food produced never reaches a human stomach. Furthermore, this figure does not reflect the fact that large amounts of land, energy, fertilisers and water have also been lost in the production of foodstuffs which simply end up as waste. This level of wastage is a tragedy that cannot continue if we are to succeed in the challenge of sustainably meeting our future food demands.
Grazie per i commenti.
martedì 8 gennaio 2013
VOTA LA PEGGIORE
Public Eye Award, il premio per le peggiori corporation del pianeta
Per votare basta andare sul sito www.publiceye.ch ed esprimere la propria preferenza. È infatti partita in questi giorni la corsa al “premio” per le multinazionali più cattive del pianeta, “organizzato” dal 2000 da Greenpeace Svizzera e Berne Declaration e che quest’anno sarà assegnato il 24 gennaio. Anche questa volta la cerimonia per la consegna del poco ambito riconoscimento si terrà in contemporanea con il World Economic Forum in programma a Davos. Ovvero l’incontro dei guru del capitalismo mondiale, da quando c’è la crisi meno scintillante e fastoso rispetto al recente passato.
Le candidate all’oscar per le cattive pratiche ambientali e sociali sono sette, in rappresentanza di ben quattro continenti. Si va dalla francese Alstom, “specializzata” in corruzione, alla Coal India, che con i suoi 400 milioni di tonnellate di carbone estratti l’anno (il 90 per cento della produzione del Paese asiatico) contribuisce non poco al dramma dei cambiamenti climatici, per proseguire con la compagnia britannica di sicurezza privata G4S (che “pare” sia abbastanza esperta di violazioni dei diritti umani e delle regole più basilari del diritto internazionale, essendo presente in ben 125 Paesi del globo).
Ma non potevano mancare la Goldman Sachs, l’anima nera della finanza internazionale, la Lonmin, l’azienda del settore minerario legata al dramma di Marikana (44 minatori uccisi dalle forze di polizia sudafricana nell’agosto del 2012, chiamata in causa dalla stessa Lonmin per sedare le proteste contro le pessime condizioni lavorative) e ancora la Shell, la oil corporation impegnata in attività estrattive nella regione dell’Artico e che un po’ ovunque nel mondo – in primis nel Delta del Niger – si “contraddistingue” per il suo pessimo record ambientale.
Dulcis in fundo – si fa per dire – la Repower, società che gioca in casa, visto che è svizzera, ma che nella nostra Calabria vuole costruire insieme alla multi-utility italiana la centrale a carbone di Saline Joniche. Poco importa che praticamente tutta la popolazione locale sia contraria e che il progetto avrà impatti devastanti – oltre a “incastonarsi” in un contesto dove la criminalità organizzata la fa da padrone.
Per chi ne vuole sapere di più, così da ponderare bene la sua scelta, a seguire ci sono altri link utili:
https://dl.dropbox.com/u/7150725/Peye/SpoofsPublicEye2013.zip
www.facebook.com/publiceyeawards
www.twitter.com/peawards
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giovedì 27 dicembre 2012
PER UN ECONOMIA SOCIALE
Priorità all'economia equa e sostenibile
Per un'economia sociale: manifesto per un'Italia sostenibile
40 personalità della società civile italiana
lanciano richieste precise a partiti e forze politiche in vista delle
prossime elezioni. Tra i firmatari Aldo Bonomi, Roberto Burdese,
Leonardo Becchetti, Walter Ganapini, Ugo Mattei, Edoardo Patriarca
Non un manifesto politico tradizionale. Non un programma di
partito. E neppure una nuova lista elettorale. “Piuttosto una messa a
fuoco chiara di una prospettiva di cambiamento - basata su esperienze e
pratiche concrete - finalizzata a smuovere l’agenda politica e a trovare
soluzioni sostenibili ai gravi problemi che attanagliano l’Italia”.
I firmatari del Manifesto “Per un'economia sociale”, chiedono che partiti e movimenti che si presenteranno alle prossime elezioni ne considerino i contenuti in vista della definizione dei propri programmi e della propria azione.
Tra coloro che lo hanno promosso un ampio spettro della società civile italiana: figure storiche della cooperazione sociale, dirigenti del commercio equo e solidale, promotori della finanza etica, fianco a fianco con riconosciuti esponenti dell’ambientalismo, del consumo critico, del volontariato d’ispirazione cristiana, delle organizzazioni non governative.
Al cuore del Manifesto la proposta di un’economia sociale incardinata nel territorio come orizzonte di riferimento per la lotta alla disoccupazione e all’esclusione sociale, ma anche per la transizione verso modelli di produzione ecologicamente sostenibili. Dunque riscoperta del mutualismo e della cooperazione, valorizzazione del capitale sociale, beni comuni, welfare territoriale, nuovo regionalismo europeo, nuove partnership tra enti pubblici, soggetti non profit e aziende socialmente responsabili in funzione della creazione di lavoro e della valorizzazione dell’ambiente.
Proposte concrete e percorribili, che tengono al centro lo sviluppo locale e il governo del territorio, ma che richiedono quadri normativi nazionali e leggi di stabilità finanziaria di segno ben diverso da quello corrente. Proposte che implicano un cambio di rotta politica, a cui possono utilmente concorrere le idee, le esperienze e le persone della società civile che in questi anni si sono concretamente impegnate nella costruzione di un paese sostenibile e solidale.
Il manifesto e la lista dei firmatario possono essere scaricati all'indirizzo http://peruneconomiasociale.wordpress.com/
I firmatari del Manifesto “Per un'economia sociale”, chiedono che partiti e movimenti che si presenteranno alle prossime elezioni ne considerino i contenuti in vista della definizione dei propri programmi e della propria azione.
Tra coloro che lo hanno promosso un ampio spettro della società civile italiana: figure storiche della cooperazione sociale, dirigenti del commercio equo e solidale, promotori della finanza etica, fianco a fianco con riconosciuti esponenti dell’ambientalismo, del consumo critico, del volontariato d’ispirazione cristiana, delle organizzazioni non governative.
Al cuore del Manifesto la proposta di un’economia sociale incardinata nel territorio come orizzonte di riferimento per la lotta alla disoccupazione e all’esclusione sociale, ma anche per la transizione verso modelli di produzione ecologicamente sostenibili. Dunque riscoperta del mutualismo e della cooperazione, valorizzazione del capitale sociale, beni comuni, welfare territoriale, nuovo regionalismo europeo, nuove partnership tra enti pubblici, soggetti non profit e aziende socialmente responsabili in funzione della creazione di lavoro e della valorizzazione dell’ambiente.
Proposte concrete e percorribili, che tengono al centro lo sviluppo locale e il governo del territorio, ma che richiedono quadri normativi nazionali e leggi di stabilità finanziaria di segno ben diverso da quello corrente. Proposte che implicano un cambio di rotta politica, a cui possono utilmente concorrere le idee, le esperienze e le persone della società civile che in questi anni si sono concretamente impegnate nella costruzione di un paese sostenibile e solidale.
Il manifesto e la lista dei firmatario possono essere scaricati all'indirizzo http://peruneconomiasociale.wordpress.com/
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LA Banca della Terra

domenica 23 dicembre 2012
Regione Toscana - ecco la Banca della Terra
Bisogna però tener presente anche l'interesse della Regione nel creare una metodologia "pulita" per vendere quelle parti del Demanio, terreni che non avrebbero bisogno di essere alienati a privati, ma solo affittati, con la proprietà che rimane pubblica e quindi dei cittadini.
In un periodo in cui la tendenza a privatizzare i Beni Comuni (Acqua, Servizi, Terra etc) è illegittimamente perpetrato a danno del patrimonio della Comunità dei cittadini, questa operazione ha dei risvolti nelle intenzioni non ancora del tutto chiari.
C'è da aggiungere che non è presentato nel Progetto nessun metodo agroecologico o vincolo per un'ecosostenibilità delle coltivazioni, ma solo un accenno a buone pratiche agricole e agricoltura meccanizzata.
Toscana/Consiglio: con 'Banca Terra' demanio a giovani agricoltori
18 Dicembre 2012 - 18:48
(ASCA) - Firenze, 18 dic - Offrire le terre del demanio regionale
toscano ai giovani agricoltori. E' l'obiettivo con cui nascono l'ente
'Terre regionali Toscane' e la 'Banca della Terra'. Il via libera e'
arrivato dal Consiglio regionale.
'Terre regionali toscane' sara' un ente pubblico non economico dipendente dalla Regione che permettera' di gestire in maniera piu' razionale ed efficace tutto il patrimonio fondiario della Regione Toscana (l'azienda agricola di Alberese, quella di Cesa), il rapporto con il Parco di San Rossore (Pisa) ma anche altre tenute (ad esempio quella di Suvignano, confiscata alla mafia, se sara' attribuita alla Regione). In questo contesto nascera' la 'Banca della Terra', che rappresenta il primo esempio in Europa di strumento pubblico volto a favorire l'accesso degli imprenditori privati, in particolare dei giovani agricoltori, ai terreni agricoli e forestali del demanio regionale. La banca della terra conterra' l'inventario completo di tutti i terreni e aziende agricole di proprieta' pubblica e privata disponibili per operazioni di affitto, concessione e compravendita.
''Sono orgoglioso - ha detto l'assessore all'agricoltura Gianni Salvadori - di questa legge, che e' stata approvata all'unanimita' dal Consiglio Regionale della Toscana e che rappresenta un contributo importante per raggiungere gli obiettivi di dare un'opportunita' di lavoro ai giovani e non solo, garantire il presidio del territorio anche di zone marginali, razionalizzare la gestione dei terreni di proprieta' pubblica e avere una migliore gestione del patrimonio agroforestale, fondamentale per la prevenzione del rischio idrogeologico. Con questa formulazione - ha continuato Salvadori - la legge e' la prima in Europa e ci consentira' di recuperare oltre 100 mila ettari di terreno che negli ultimi 28 anni erano stati abbandonati''.
Banca della Terra
'Terre regionali toscane' sara' un ente pubblico non economico dipendente dalla Regione che permettera' di gestire in maniera piu' razionale ed efficace tutto il patrimonio fondiario della Regione Toscana (l'azienda agricola di Alberese, quella di Cesa), il rapporto con il Parco di San Rossore (Pisa) ma anche altre tenute (ad esempio quella di Suvignano, confiscata alla mafia, se sara' attribuita alla Regione). In questo contesto nascera' la 'Banca della Terra', che rappresenta il primo esempio in Europa di strumento pubblico volto a favorire l'accesso degli imprenditori privati, in particolare dei giovani agricoltori, ai terreni agricoli e forestali del demanio regionale. La banca della terra conterra' l'inventario completo di tutti i terreni e aziende agricole di proprieta' pubblica e privata disponibili per operazioni di affitto, concessione e compravendita.
''Sono orgoglioso - ha detto l'assessore all'agricoltura Gianni Salvadori - di questa legge, che e' stata approvata all'unanimita' dal Consiglio Regionale della Toscana e che rappresenta un contributo importante per raggiungere gli obiettivi di dare un'opportunita' di lavoro ai giovani e non solo, garantire il presidio del territorio anche di zone marginali, razionalizzare la gestione dei terreni di proprieta' pubblica e avere una migliore gestione del patrimonio agroforestale, fondamentale per la prevenzione del rischio idrogeologico. Con questa formulazione - ha continuato Salvadori - la legge e' la prima in Europa e ci consentira' di recuperare oltre 100 mila ettari di terreno che negli ultimi 28 anni erano stati abbandonati''.
Banca della Terra
Grazie per i commenti.
giovedì 20 dicembre 2012
mercoledì 12 dicembre 2012
FRUTTA A SCUOLA ?
Frutta a scuola "corrotta". 11 arresti al min. dell'agricoltura
Viaggi, ville e regali extra lusso in cambio di appalti dal destino pilotato. Nei guai anche Giuseppe Ambrosio, ex capo di Gabinetto dei ministri Luca Zaia e Giancarlo Galan. Lucravano sulla frutta nelle mense scolastiche e nelle campagne di informazione.
Funzionari ministeriali corrotti, scattano le manette. Stamane all'alba la polizia tributaria della guardia di finanza in ambito di una vasta operazione del Comando provinciale di Roma ha portato a compimento 11 arresti per reati contro la pubblica amministrazione. Game over per funzionari, dirigenti ed imprenditori che illecitamente avevano pilotato e danneggiato l'operato della pubblica amministrazione. Tra loro anche nomi illustri: custodia cautelare per Giuseppe Ambrosio, ex capo di Gabinetto dei ministri Luca Zaia e Giancarlo Galan. Ambrosio è l’attuale capo della segreteria del sottosegretario Franco Braga. Dal maggio scorso Ambrosio è anche direttore del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura. Il reato ipotizzato dai magistrati è corruzione e turbativa d'asta. Un giro d'affari di circa 32 milioni: distribuiti in viaggi, regali lussuosi e denaro cash. Parzialmente recuperabili dai 22 milioni di beni sequestrati: 43 tra terreni e fabbricati, 10 tra autoveicoli e motocicli e numerosi conti correnti, depositi titoli e polizze assicurative. Tra essi ville con piscina, residenze romane e auto di lusso.Tra i bandi pilotati si citano “FOOD4U”, per la realizzazione di campagne di sensibilizzazione rivolte a scuole italiane ed europee sull’importanza di una consapevole alimentazione (3.780.000 euro) e “FRUTTA NELLE SCUOLE”, finalizzato ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e ad attuare iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari (un giro d'affari di oltre 13 milioni di euro). Altri contributi pubblici sono invece serviti per finanziare iniziative quali “La Giornata Nazionale dell’Agricoltura” (154.800 euro) e “L’Asta Internazionale del Tartufo” (263.210), quest’ultima attraverso BUONITALIA S.p.a (società interamente partecipata dal MIPAAF). Insomma un bel gruzzolo di soldi pubblici. Sempre secondo l'accusa l'alto dirigente avrebbe ottenuto l’omessa vigilanza edilizia volta a favorire l'abusivismo nelle ville proprie in territori (Todi e Maratea) in cambio dellosblocco di alcuni contributi pubblici.
LE INDAGINI - In esecuzione di una ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Roma, dott.ssa Flavia Costantini, le indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Tributaria della Capitale e coordinate dal Procuratore Aggiunto dott. Nello Rossi e dal Sostituto Procuratore dott. Stefano Fava del gruppo “reati contro l’economia” hanno ricostruito puntualmente i redditi ed il patrimonio dei due coniugi, dal 1993 al 2008, accertando una sproporzione di oltre 925.000 euro tra entrate e uscite. Le evidenze probatorie raccolte hanno portato il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma all’emissione di 11 ordinanze di custodia cautelare, delle quali 6 in carcere e 5 agli arresti domiciliari.
Grazie per i commenti.
AGROMAFIE E CAPORALATO
Agromafia e caporalato, il primo rapporto sull'Italia
La ricerca dell'Osservatorio Placido Rizzotto presentata dalla Flai Cgil, il sindacato del settore agroalimentare. L'illegalità è in continua espansione. 400mila persone vittime del caporalato. 27 clan nel business dell'agro- ed ecomafia
Illegalità e caporalato nel settore agricolo sono in continua espansione. Da Nord a Sud. Agrumi, angurie, pomodori sono le principali colture “seguite” dalla criminalità organizzata, ma sono sempre più numerose le segnalazioni relative all'export di qualità (come nel caso del settore vitivinicolo), alla macellazione clandestina e agli appalti sospetti relativi ai servizi. Mentre la crisi ha aggravato ulteriormente le condizioni di migliaia di lavoratori impiegati nelle stagionalità di raccolta. È quanto si evince dal Primo rapporto su caporalato e agromafie presentato oggi a Roma dalla Flai Cgil (il sindacato del settore) e curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto.
L'osservatorio ha promosso in questi mesi un'indagine sui territori, con l'obiettivo di fare una fotografia delle principali forme di illegalità e di sfruttamento nel settore agroalimentare. Attraverso testimonianze dirette e interviste agli operatori coinvolti, il rapporto ha voluto anche raccontare come il caporalato è cambiato in questi anni, diventando un ambito di interesse per la criminalità organizzata.
GUARDA LE MAPPE
La ricerca ha coinvolto 14 Regioni e 65 province con l'obiettivo di tracciare i flussi stagionali di manodopera e gli epicentri delle aree a rischio caporalato e sfruttamento lavorativo. Censiti oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 ad alto tasso di sfruttamento lavorativo, da nord a sud. Il caporalato è diffuso su tutto il territorio nazionale: oltre alle Regioni del Sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), forte l'esplosione del fenomeno al Centro-Nord, in particolare: in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Sempre di più il caporalato si associa ad altre forme di reato, come ad esempio gravi sofisticazioni alimentari, truffa e inganno per salari non pagati, contratti di lavoro inevasi, sottrazione e furto dei documenti, gestione della tratta interna e esterna dei flussi di manodopera, riduzione in schiavitù e forme di sfruttamento lesive persino dei più elementari diritti umani.
Il caporalato
Se è vero, come ci dicono i dati Istat, che in agricoltura il sommerso occupazione nel caso dei lavoratori dipendenti è pari al 43%, non è difficile immaginare che sia proprio questo l'enorme serbatoio di riferimento per i caporali. Un esercito di circa 400.000 persone in tutta Italia, di cui circa 100.000 (prevalentemente stranieri) costrette a subire forme di ricatto lavorativo e a vivere in condizioni fatiscenti. Il caporalato in agricoltura, dunque, ha costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 420 milioni di euro l'anno. Per non parlare della quota di reddito (circa -50% della retribuzione prevista dai contratti nazionali e provinciali di settore) sottratta dai caporali ai lavoratori, che mediamente percepiscono un salario giornaliero che si attesta tra i 25 euro e i 30 euro, per una media di 10-12 ore di lavoro. I caporali, però, impongono anche le proprie tasse giornaliere ai lavoratori: 5 euro per il trasporto, 3,5 euro per il panino e 1,5 euro per ogni bottiglia d'acqua consumata.
Nelle mappe elaborate si possono trovare nel dettaglio: gli epicentri di rischio dove sono stati riscontrati casi di lavoro indecente o gravemente sfruttato, i flussi interregionali e transnazionali dei lavoratori protagonisti della transumanza stagionale che coinvolge migliaia tra uomini e donne, le principali nazionalità impegnate nelle raccolte stagionali. All'interno del rapporto, inoltre, è possibile consultare il dettaglio delle schede per ogni singola regione coinvolta dall'indagine, con relativi dettagli sul numero di operatori, i reati più diffusi e le analisi delle condizioni di lavoro per ogni singolo distretto produttivo.
Le agromafie
L’Osservatorio ha preferito perseguire un campo di ricerca qualitativo, chiedendo agli operatori coinvolti (magistrati, giornalisti, lavoratori, sindacalisti, esponenti delle forze dell'ordine e della società civile) di incrociare dati, esperienze, buone e cattive pratiche. Dai contributi contenuti nel rapporto emerge una fotografia allarmante, in particolare sempre più forte sembra il rinnovato legame tra il crimine di stampo mafioso e un pezzo molto rilevante dell'economia del settore primario del nostro paese. Sono le agromafie, nonché l'illegalità diffusa in una vasta zona grigia, che in questi anni ha scaricato sui lavoratori i costi del malaffare.
Quanto alle principali attività illecite delle mafie in relazione al settore agroalimentare, sono: estorsioni, usura a danno degli imprenditori, furti, sofisticazioni alimentari, infiltrazione nella gestione dei consorzi per condizionare il mercato e falsare la concorrenza. La contraffazione alimentare è aumentata del 128% negli ultimi dieci anni, un giro d'affari di circa 60 miliardi quello legato al fenomeno dei prodotti definiti Italian sounding e alla speculazione dell'Italian branding. Sono 27 i clan che si occupano attivamente di business legati alle ecomafie, alle agromafie e al consumo del territorio dovuto all'abusivismo edilizio e sversamento illegale dei rifiuti. Un giro d’affari, quelle delle agromafie dunque, che secondo operatori istituzionali e della società civile si aggira tra i 12 e i 17 miliardi di euro l'anno, circa il 10% dei guadagni della criminalità mafiosa, così come quantificato dalla Commissione Antimafia.
Il rapporto affronta anche i dati delle aziende confiscate nel settore agricolo (8%). Dati che potrebbero ingannare, visto che i beni di maggiore valore sottratti alla criminalità sono proprio le aziende del settore agroalimentare. Dall'inizio del 2008 il numero dei beni aziendali confiscati alla criminalità è aumentato del 65%, un boom che testimonia la fragilità del nostro sistema economico. Ad oggi, solo il 4% di queste aziende riesce a emergere dall'illegalità e dare una risposta alla domanda di lavoro e sviluppo su territori fortemente condizionati dalla presenza mafiosa. Secondo le recenti stime dell'Ufficio Legalità della Cgil, sono circa 80.000 i lavoratori licenziati dopo un provvedimento di confisca definitiva. Dal rapporto, quindi, esce rafforzata l'idea della Cgil di promuovere una legge d'iniziativa popolare per tutelare i lavoratori delle aziende confiscate, nonché favorire un percorso di emersione alla legalità di queste aziende, per porle alla base di una strategia di rilancio di lavoro e sviluppo come antidoto a tutte le mafie.
Nel rapporto è possibile leggere contributi di:
Jean Renè Bilongo Flai Nazionale, Anna Canepa Magistrato, Direzione Nazionale Antimafia, Francesco Carchedi Sociologo, Giancarlo Caselli, Procuratore capo della Repubblica di Torino Donato Ceglie Magistrato, Procura di Napoli, Stefania Crogi segr. Gen. Flai Cgil, Massimiliano D'Alessio, ricercatore Fondazione Metes Maurizio De Lucia Magistrato, Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Iovino Flai Nazionale, Alessandro Leogrande Giornalista e Scrittore, Vincenzo Liarda Flai Sicilia, Cinzia Massa Flai Campania, Dino Paternostro Cgil Corleone, Giuseppe Ruggiero giornalista e scrittore, Yvan Sagnet Flai Nazionale, Serena Sorrentino segr. Confederale Cgil, Giuseppe Vadalà Corpo Forestale dello Stato.
L'osservatorio ha promosso in questi mesi un'indagine sui territori, con l'obiettivo di fare una fotografia delle principali forme di illegalità e di sfruttamento nel settore agroalimentare. Attraverso testimonianze dirette e interviste agli operatori coinvolti, il rapporto ha voluto anche raccontare come il caporalato è cambiato in questi anni, diventando un ambito di interesse per la criminalità organizzata.
GUARDA LE MAPPE
La ricerca ha coinvolto 14 Regioni e 65 province con l'obiettivo di tracciare i flussi stagionali di manodopera e gli epicentri delle aree a rischio caporalato e sfruttamento lavorativo. Censiti oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 ad alto tasso di sfruttamento lavorativo, da nord a sud. Il caporalato è diffuso su tutto il territorio nazionale: oltre alle Regioni del Sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), forte l'esplosione del fenomeno al Centro-Nord, in particolare: in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Sempre di più il caporalato si associa ad altre forme di reato, come ad esempio gravi sofisticazioni alimentari, truffa e inganno per salari non pagati, contratti di lavoro inevasi, sottrazione e furto dei documenti, gestione della tratta interna e esterna dei flussi di manodopera, riduzione in schiavitù e forme di sfruttamento lesive persino dei più elementari diritti umani.
Se è vero, come ci dicono i dati Istat, che in agricoltura il sommerso occupazione nel caso dei lavoratori dipendenti è pari al 43%, non è difficile immaginare che sia proprio questo l'enorme serbatoio di riferimento per i caporali. Un esercito di circa 400.000 persone in tutta Italia, di cui circa 100.000 (prevalentemente stranieri) costrette a subire forme di ricatto lavorativo e a vivere in condizioni fatiscenti. Il caporalato in agricoltura, dunque, ha costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 420 milioni di euro l'anno. Per non parlare della quota di reddito (circa -50% della retribuzione prevista dai contratti nazionali e provinciali di settore) sottratta dai caporali ai lavoratori, che mediamente percepiscono un salario giornaliero che si attesta tra i 25 euro e i 30 euro, per una media di 10-12 ore di lavoro. I caporali, però, impongono anche le proprie tasse giornaliere ai lavoratori: 5 euro per il trasporto, 3,5 euro per il panino e 1,5 euro per ogni bottiglia d'acqua consumata.
Nelle mappe elaborate si possono trovare nel dettaglio: gli epicentri di rischio dove sono stati riscontrati casi di lavoro indecente o gravemente sfruttato, i flussi interregionali e transnazionali dei lavoratori protagonisti della transumanza stagionale che coinvolge migliaia tra uomini e donne, le principali nazionalità impegnate nelle raccolte stagionali. All'interno del rapporto, inoltre, è possibile consultare il dettaglio delle schede per ogni singola regione coinvolta dall'indagine, con relativi dettagli sul numero di operatori, i reati più diffusi e le analisi delle condizioni di lavoro per ogni singolo distretto produttivo.
Le agromafie
L’Osservatorio ha preferito perseguire un campo di ricerca qualitativo, chiedendo agli operatori coinvolti (magistrati, giornalisti, lavoratori, sindacalisti, esponenti delle forze dell'ordine e della società civile) di incrociare dati, esperienze, buone e cattive pratiche. Dai contributi contenuti nel rapporto emerge una fotografia allarmante, in particolare sempre più forte sembra il rinnovato legame tra il crimine di stampo mafioso e un pezzo molto rilevante dell'economia del settore primario del nostro paese. Sono le agromafie, nonché l'illegalità diffusa in una vasta zona grigia, che in questi anni ha scaricato sui lavoratori i costi del malaffare.
Quanto alle principali attività illecite delle mafie in relazione al settore agroalimentare, sono: estorsioni, usura a danno degli imprenditori, furti, sofisticazioni alimentari, infiltrazione nella gestione dei consorzi per condizionare il mercato e falsare la concorrenza. La contraffazione alimentare è aumentata del 128% negli ultimi dieci anni, un giro d'affari di circa 60 miliardi quello legato al fenomeno dei prodotti definiti Italian sounding e alla speculazione dell'Italian branding. Sono 27 i clan che si occupano attivamente di business legati alle ecomafie, alle agromafie e al consumo del territorio dovuto all'abusivismo edilizio e sversamento illegale dei rifiuti. Un giro d’affari, quelle delle agromafie dunque, che secondo operatori istituzionali e della società civile si aggira tra i 12 e i 17 miliardi di euro l'anno, circa il 10% dei guadagni della criminalità mafiosa, così come quantificato dalla Commissione Antimafia.
Il rapporto affronta anche i dati delle aziende confiscate nel settore agricolo (8%). Dati che potrebbero ingannare, visto che i beni di maggiore valore sottratti alla criminalità sono proprio le aziende del settore agroalimentare. Dall'inizio del 2008 il numero dei beni aziendali confiscati alla criminalità è aumentato del 65%, un boom che testimonia la fragilità del nostro sistema economico. Ad oggi, solo il 4% di queste aziende riesce a emergere dall'illegalità e dare una risposta alla domanda di lavoro e sviluppo su territori fortemente condizionati dalla presenza mafiosa. Secondo le recenti stime dell'Ufficio Legalità della Cgil, sono circa 80.000 i lavoratori licenziati dopo un provvedimento di confisca definitiva. Dal rapporto, quindi, esce rafforzata l'idea della Cgil di promuovere una legge d'iniziativa popolare per tutelare i lavoratori delle aziende confiscate, nonché favorire un percorso di emersione alla legalità di queste aziende, per porle alla base di una strategia di rilancio di lavoro e sviluppo come antidoto a tutte le mafie.
Nel rapporto è possibile leggere contributi di:
Jean Renè Bilongo Flai Nazionale, Anna Canepa Magistrato, Direzione Nazionale Antimafia, Francesco Carchedi Sociologo, Giancarlo Caselli, Procuratore capo della Repubblica di Torino Donato Ceglie Magistrato, Procura di Napoli, Stefania Crogi segr. Gen. Flai Cgil, Massimiliano D'Alessio, ricercatore Fondazione Metes Maurizio De Lucia Magistrato, Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Iovino Flai Nazionale, Alessandro Leogrande Giornalista e Scrittore, Vincenzo Liarda Flai Sicilia, Cinzia Massa Flai Campania, Dino Paternostro Cgil Corleone, Giuseppe Ruggiero giornalista e scrittore, Yvan Sagnet Flai Nazionale, Serena Sorrentino segr. Confederale Cgil, Giuseppe Vadalà Corpo Forestale dello Stato.
Grazie per i commenti.
giovedì 6 dicembre 2012
TERRA BENE COMUNE

venerdì 30 novembre 2012
articolo Manifesto su Terre demaniali
Terre demaniali: Bologna cuore delle campagne nazionali per la loto tutela
Circa un anno fa veniva approvata la legge di stabilità 2012 (ex legge
finanziaria), che norma e definisce, secondo l’art.7, la dismissione dei
terreni agricoli demaniali. Quest’articolo, poi rivisto e modificato
nell’art.66 del DDL 24 Gennaio 2012, n°1, pone le basi per la vendita di
terreni demaniali, con lo scopo di coprire una parte del debito
pubblico.
In sintesi l’applicazione di questo decreto è spendibile su tutto il
territorio nazionale, laddove i terreni agricoli non siano “utilizzabili
per altre finalità istituzionali”, art.66, 1. Rientrano in questa
dicitura differenti beni paesaggistici e produttivi, quali le aree
protette (per cui “l’agenzia del Demanio acquisisce preventivamente
l’assenso alla vendita da parte degli enti gestori delle medesime aree”
art.66,6), e le aree che, “su richiesta dei soggetti interessatic,
possono essere vendute da comuni, province, regioni, essendo proprietà
di queste ultime.
L’estensione di questi territori non è di facile censimento, anche in
virtù di precedenti decreti legislativi che ne hanno modificato
l’entità, ma secondo la Coldiretti si tratta al momento di circa 338
mila ettari di terreni agricoli coltivabili, per un valore di circa 6,2
miliardi di euro. Sono, inoltre, zone agricole demaniali anche i
territori caratterizzati dagli usi civici. Il diritto d’uso civico è
vincolato all’utilizzo collettivo e indiviso di un dato patrimonio
ambientale, affonda le radici nella storia di produzione agricola e di
allevamento locale dei comuni rurali e montani.
La proprietà e la gestione collettiva della terra rimane oggi un diritto virtuale, radicato nella memoria di territori specifici, che numerose realtà in Italia stanno cercando di rivitalizzare. Questi sono i territori che fra solo vent’anni potranno, sempre secondo l’art.66, 8, ricevere una differente destinazione d’uso rispetto quella agricola attuale. Parallelamente al censimento da parte delle amministrazioni locali delle aree vendibili per sottoporle ad asta o a bandi di cessione diretta, sono nati in tutto il territorio nazionale gruppi locali che si occupano della registrazione dei territori demaniali gravati da una storia di uso civico. Lo scopo è quello di avere una considerazione reale dell’estensione di questi terreni, di evitare speculazioni e poter controllare, o bloccare, le vendite.
La proprietà e la gestione collettiva della terra rimane oggi un diritto virtuale, radicato nella memoria di territori specifici, che numerose realtà in Italia stanno cercando di rivitalizzare. Questi sono i territori che fra solo vent’anni potranno, sempre secondo l’art.66, 8, ricevere una differente destinazione d’uso rispetto quella agricola attuale. Parallelamente al censimento da parte delle amministrazioni locali delle aree vendibili per sottoporle ad asta o a bandi di cessione diretta, sono nati in tutto il territorio nazionale gruppi locali che si occupano della registrazione dei territori demaniali gravati da una storia di uso civico. Lo scopo è quello di avere una considerazione reale dell’estensione di questi terreni, di evitare speculazioni e poter controllare, o bloccare, le vendite.
Le risposte attivate da questo decreto sono molteplici e destinate ad
aumentare, visto la cadenza annuale (sempre entro il 30 Giungo)
dell’alienazione dei terreni. All’interno di questo dibattito,
CampiAperti, associazione bolognese di produttori e consumatori nata da
circa una decina d’anni che trova nei settimanali mercati autogestiti
del biologico un mezzo di sensibilizzazione importante, ha incentivato
riflessioni, sollevato dubbi e proposto alternative, cominciate
anzitutto sul territorio di Bologna e confluite in campagne di
diffusione con risonanza nazionale.
La campagna “Terra bene comune”, ad esempio, sostiene la necessità di
gestione di questi territori, in quanto bene collettivo, da parte delle
comunità che vi sono insediate e quindi l’inalienabilità, senza consenso
della popolazione tutta, degli stessi. Attraverso il blocco delle
vendite e la tutela del patrimonio collettivo si alimentano le
potenzialità insite nel ripensamento delle finalità e delle modalità di
sfruttamento e di gestione dei territori specifici sulla base delle
esigenze delle popolazioni locali.
Con la richiesta di svincolare quelli dalla possibilità di speculazioni,
“Terra bene comune” nasce in seno alla più ampia campagna nazionale
“Genuino Clandestino”, volta alla difesa dei piccoli produttori agricoli
locali e alla denuncia delle norme che li penalizzano, ad incentivare
le politiche di filiera corta che garantiscano una relazione diretta tra
i produttori e i consumatori, in una relazione vincolata reciprocamente
dalla responsabilizzazione riguardo il mercato alimentare e il futuro
della produzione agricola sostenibile italiana.
Una terza iniziativa sta nascendo in questi mesi sul territorio
comunale, in relazione alle precedenti e si tratta del progetto “Accesso
alla Terra”. Per quanto non si occupi esclusivamente della vendita
delle terre demaniali, la fondazione con proprietà collettiva che si sta
creando, in collaborazione con MAG6 (Mutua Auto Gestione) di Reggio
Emilia, vuole connettere la necessità di rivitalizzare le terre agricole
abbandonate e il desiderio dei “nuovi contadini” di poter praticare
quest’attività. Proponendo di raccogliere i sostegni finanziari di chi
desidera partecipare all’iniziativa per l’acquisto di fondi agricoli da
ridistribuire agli aspiranti piccoli produttori, il progetto cerca di
superare il gap esistente fra l’esistenza di una fascia di popolazione
che desidera tornare alla produzione agricola e la difficoltà nel
reperire i finanziamenti per poter intraprendere una tale attività.
La catena che lega produttore e consumatore, in questa maniera è
vincolata dalla proprietà collettiva e da un “controllo partecipato” che
garantisce le modalità di produzione. Contrapponendosi alla politica di
privatizzazione dei beni comuni, che rischia di disancorare
negativamente la popolazione dalla memoria locale, queste campagne
attivano positivamente delle riflessioni a riguardo della relazione tra
popolazione, territorio e produzione agricola, diritto alla terra e
necessità di presa in carico da parte della popolazione dell’ambiente,
della socialità e della responsabilità nella cura che non possono venire
delegate. L’approvazione dell’art.66 ha riaperto un dibattito mai
sopito sulla gestione di ciò che è pubblico, privato e collettivo, su
aree fino ad oggi per lo più tralasciate dall’interesse generale, un
dibattito a cui è necessario dare spazio poiché tratta della
trasmissibilità del nostro patrimonio sociale e ambientale.
Grazie per i commenti.
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