La democrazia della decrescita
Il progetto di decrescita non propone una semplice riduzione dei consumi, ma un nuovo modo di intendere i rapporti tra gli esseri umani e tra questi e il loro ambiente, con particolare attenzione alla gestione delle risorse naturali, esauribili o comunque alterabili. Quando queste risorse sono indispensabili per la vita di ogni essere umano, vanno considerate “beni comuni” non privatizzabili, per garantirne l’accesso a tutti, come applicazione del diritto alla vita.
La gestione dei “beni comuni” deve, dunque, coinvolgere in una diretta partecipazione la comunità di riferimento (anzitutto gli abitanti della città e dei quartieri o dell’area interessata al “bene comune”), in funzione del bene pubblico. I beni comuni costituiscono una proprietà collettiva, che la comunità gestisce in un’ottica di solidarietà e di accessibilità per tutti, tenendo anche conto delle generazioni future. Quindi un bene comune non è alienabile, cioè non è disponibile né per logiche di mercato né di privatizzazione.
Questo comporta una forma di democrazia diretta e partecipata. Consegnare i beni comuni al mercato significherebbe, al contrario, mettere a rischio la democrazia.
Per gestire i beni comuni ogni comunità deve promuovere forme di partecipazione e di autogoverno che rafforzino la propria autonomia e libertà, però in una dimensione di riconoscimento, interdipendenza e solidarietà con le altre comunità.
In tal senso, un’amministrazione, solo perché eletta, non ha il diritto di decidere da sola su beni la cui proprietà è collettiva e inalienabile: una simile decisione espropria i cittadini non solo dei beni comuni, ma del più importante dei beni di cittadinanza, la democrazia, che non può essere disgiunta da reali processi di partecipazione.
Ma affinché questo possa accadere, dobbiamo anche inventare e sperimentare forme nuove di democrazia, che privilegino la partecipazione sulla delega, le relazioni tra le persone e le comunità sulle logiche autoritarie basate sulla forza. Ogni comunità dovrebbe promuovere le proprie forme di partecipazione e di autogoverno, nel rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi in cui le comunità vivono.
La sfida è quella di un passaggio da una concezione che vede l’essere umano ergersi contro o sopra la natura ad una concezione in cui l’essere umano si riconosce parte di una comune “famiglia terrestre” e da vita a nuove forme di “cittadinanza” ecologica che riconoscano dignità a tutte le forme di vita. Occorre dunque abbandonare l’immaginario dello sviluppo affidato ad una crescita infinita, per passare una prospettiva di decrescita, in particolare per quanto riguarda le società più industrializzate e che più pesano negativamente sugli ecosistemi.
Tuttavia non basta dimostrare che una crescita infinita in una realtà finita è impossibile e non basta neppure la crisi a far cambiare stili di vita, occorre rendere “desiderabile” questo cambiamento. Come affermava Alexander Langer “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”.
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