Non buttiamo a mare l’osso del Mezzogiorno
18/04/2011 Tonino Perna
Manlio Rossi Doria, un valente economista agrario, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso analizzando le aree interne e collinari del Mezzogiorno rispetto a quelle di pianura, coniò l’espressione «osso»[aree interne] e «polpa»[pianure] per denunciare la profonda divaricazione – sul piano socio/economico – che le due aree andavano assumendo. Cogliendo i primi effetti della Riforma Agraria e, soprattutto, degli interventi della Cassa del Mezzogiorno che si erano concentrati sulle aree di pianura, Rossi Doria vide lontano, ma la sua denuncia restò inascoltata. Dopo oltre mezzo secolo la divaricazione tra «osso» e «polpa» nel territorio meridionale è diventata un abisso. Le aree interne si sono spopolate, le terre abbandonate e colline e montagne scendono a mare , ogni anno, con le prime piogge. L’osso del Mezzogiorno oggi sta finendo in mare con le sue colline e montagne che franano continuamente. Si tratta, infatti, di una grande area [pari a più di un terzo dell’intera superficie meridionale] che per via dell’abbandono è soggetta a frane, smottamenti, erosioni del suolo e, in alcune aree della Calabria e Sicilia, a processi di desertificazione. Un’area in gran parte spopolata con diversi paesi scomparsi [più di venti nella sola regione calabrese], prive di servizi [poste,scuole, trasporti pubblici] e abbandonate ad un inarrestabile oblio.
Oggi questo scenario desolante delle aree interne può essere modificato per due ragioni fondamentali. La prima è legata al fatto che a livello planetario la carenza di cibo comincia a farsi sentire sia per la perdita di fertilità dei suoli supersfruttati, sia per i mutamenti climatici che producono con sempre maggiore frequenza piogge intense, uragani/tifoni/tornadi, insieme a persistenti periodi di siccità in tante e vaste aree del pianeta. La speculazione finanziaria gioca la sua parte portando alle stelle prodotti primari – grano, mais, riso,ma anche cipolle ed altri beni alimentari- ed affamando le popolazioni del sud del mondo. La sovranità alimentare sta diventando un obiettivo primario, di sicurezza nazionale, in tanti paesi ed aree tanto da portare alcuni governi [India, Argentina, ecc.] a bloccare le esportazioni di alcuni cereali.
Se il cibo, i beni alimentari stanno diventando beni «strategici» c’è una ragione forte per mettere a cultura le terre abbandonate dell’osso meridionale. Ma, finora mancavano i soggetti di questo cambiamento. Oggi, cominciamo ad intravedere un altro scenario possibile grazie alla presenza di migranti provenienti da regioni agricole [etipi, eritrei, afgani,ecc.] che quando trovano un’opportunità rimangono nelle aree interne del Mezzogiorno. Diventano i soggetti della rinascita delle aree interne. E’ il caso di Badolato, Riace, Caulonia, comuni calabresi che hanno fatto dell’accoglienza degli immigrati e profughi la loro carta vincente per rinascere, per recuperare vecchi mestieri, per mettere a cultura terre abbandonate. Anche alcuni giovani stanno ritornando sulla terra con un altro animo rispetto ai loro padri e nonni.
Ma, come sappiamo, non basta che qualcuno riprenda a coltivare perché possa vivere di produzione agricola. E’ necessario che questi prodotti vengano inseriti nella rete dell’economia solidale perché abbiano un giusto prezzo e permettano a chi ha scommesso su queste attività di viverci dignitosamente. Se la rete dell’altra economia farà il salto di qualità che le nuove coordinate globali e locali richiedono, allora potremo dire che «l’osso» del Mezzogiorno ha cominciato a mettere su carne, che la vita ritorna nelle nostre aree interne per troppo dimenticate dalla politica e dalla società urbana. Ed avremo dato, come meridionali, anche un grande contributo al nostro paese che ha una strutturale bilancia alimentare in deficit.
[Questo articolo è stato scritto per favorire la nascita della rete di economia solidale Sudsud che ha cominciato a muovere i suoi primi passi e si incontrerà all'assemblea nazionale dei Gas in programma in giugno a L'Aquila; per informazioni: gennaro altromodoflegreo@libero.it
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