La camorra in tavola, la Dia sequestra 100 milioni nell’operazione Gea
Antimafia. La Dia sequestra società per 100 milioni di euro nell'operazione Gea, terza tranche dell'inchiesta sul controllo mafioso dell'ortofrutta. Secondo la Coldiretti/Eurispes, questo business ha fruttato ai clan 15,4 miliardi nel 2014
“Non è solo criminalità organizzata. Si tratta di un’agenzia mafiosa, titolare delle rotte tra un mercato e un altro. Acquistiamo frutta e paghiamo la camorra: il 10,15% del costo del trasporto va ai clan” spiegavano ieri gli inquirenti per raccontare l’operazione Gea, la terza dopo Sud pontino e Store, condotte dalla Dia di mezza Italia per smantellare gli interessi dei clan siciliani e campani nell’approvvigionamento di prodotti ortofrutticoli da e per i maggiori mercati del centro e del sud Italia.
Lunedì 20 sono state emesse venti ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza ed estorsione. I clan casertani dei Casaleri e il gruppo napoletano dei Mallardo hanno monopolizzato per anni il business in accordo con Cosa nostra catanese. Sotto sequestro dieci società per un valore di circa 100 milioni di euro.
L’affare era semplice: i commercianti erano obbligati a utilizzare le ditte di trasporto su gomma di proprietà diretta o indiretta dei clan per trasportare frutta e ortaggi. L’indagine, durata cinque anni, ha ripreso il filo dove l’aveva lascito la precedente inchiesta: Operazione Sud Pontino aveva svelato come il clan dei Casalesi, servendosi di Costantino Pagano (fazione Schiavone-Del Vecchio) proprietario de La Paganese trasporti, avesse monopolizzato il settore dai mercati ortofrutticoli da Gela, Palermo e Catania fino a Fondi, passando per Giugliano nel napoletano.
Dopo gli arresti del 2010, i gruppi si sono rapidamente riorganizzati.
Strumenti del clan erano la ditta individuale di Libero Frontoso, fratello di Salvatore (arrestato nella Operazione Sud Pontino perché collaboratore di Costantino Pagano) e Luigi Terracciano (braccio destro di Pagano). Il portafoglio clienti soprattutto delle zone di Avezzano e Fondi della Paganese (finita in amministrazione giudiziaria) era passato a Frontoso grazie alle pressioni dei gruppi criminali. Per gestire l’attività viene siglato un accordo con la società di autotrasporto di prodotti alimentari Ita — International Transport Agency della zona salernitana di Nocera e Pagani. Nel 2012 viene scarcerato per gravi motivi di salute Terracciano, che riprende il controllo dell’affare.
Il gruppo che faceva capo a Pagano, nonostante gli arresti, è riuscito a tenere il controllo dei mercati di Fondi e della provincia di Caserta in mano ai Casalesi grazie ai rapporti con la mafia siciliana. Giugliano invece finisce nell’orbita dei Mallardo: un gruppo in ascesa con interessi anche negli appalti, ramificato fuori regione. Non si è arrivati al conflitto proprio per la condizione di debolezza dei casertani.
A raccontare i rapporti di forza il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi. Naturalmente i gruppi criminali non si limitano a offrire il servizio trasporto a costi maggiorati, ma impongono anche una tassa sui proventi di ogni transazione, “la provvigione”.
Le mani sul settore agricolo i Casalesi le avevano già fin dagli anni ’80, con le truffe all’Aima.
Agli inizi degli anni 2000 era arrivato il patto con l’Alleanza di Secondigliano per spartirsi il mercato ortofrutticolo. Nelle intercettazioni delle prime inchieste si sente Costantino Pagano spiegare come funziona: “A Catania, da qua fino a Roma, fino a Milano, da qua fino ad Avezzano… comandiamo noi… ci sono camorristi da tutte le parti”.
“In Sicilia il business delle agromafie – spiega la Coldiretti — supera i cinque miliardi di euro. La malavita si è insediata in molti dei punti nevralgici del sistema agricolo regionale: dalla falsificazione delle tracce di provenienza dell’ortofrutta all’imposizione del guardiania, al pagamento del pizzo anche con l’obbligo di assunzione di manodopera”.
Grazie ai clan i prodotti sono sottopagati agli agricoltori, che non coprono neppure i costi di produzione, ma i prezzi si moltiplicano fino al 300% dal campo alla tavola.
Si tratta di un business che ha fruttato ai clan 15,4 miliardi nel 2014 secondo il rapporto Coldiretti/Eurispes. I punti più sensibili per le infiltrazioni malavitose, spiega Coldiretti, sono il trasporto su gomma da e per i mercati; imprese dell’indotto (estorsioni indirette quali ad esempio l’imposizione di cassette per imballaggio); falsificazione delle tracce di provenienza dell’ortofrutta (come la falsificazione di etichettature: così, prodotti del Nord-Africa vengono spacciati per comunitari).
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