giovedì 24 aprile 2014

TEMPI SUPPLEMENTARI

Siamo ai tempi supplementari

Il 22 aprile abbiamo cele­brato (si fa per dire) la Gior­nata mon­diale della Terra. Qual­cuno se n’è accorto? Faceva giu­sta­mente rile­vare Fede­rico Ram­pini su la Repub­blica (mar­tedi 22) che seb­bene la lotta al cam­bia­mento cli­ma­tico non fac­cia pro­gressi, nes­sun governo se ne pre­oc­cupa più di tanto men­tre l’opinione pub­blica è stanca di sen­tir gri­dare al lupo al lupo…. Essa si chiede se poi saranno real­mente fon­dati que­sti allar­mi­smi e in ogni caso: cosa pos­siamo farci?

Nel 1972, l’università di Boston, il Mas­sa­chu­setts Insti­tute of Tech­no­logy, lan­ciò il primo grido d’allarme sulla esau­ri­bi­lità delle risorse. Quin­dici anni dopo, il “Rap­porto Brund­tland” spo­stò l’attenzione dalla fini­tezza delle risorse all’equilibrio della bio­sfera e coniò il ter­mine (ora abu­sato) di “svi­luppo soste­ni­bile”. Nel 1992 ci fu la prima Con­fe­renza Inter­na­zio­nale a Rio de Janeiro e da allora si sono svolte molte Con­fe­rence of the Par­ties(Cop), ma quanto a risul­tati, quasi niente si è riu­sciti ad otte­nere. Recen­te­mente un gran numero di scien­ziati ci ha ammo­nito che ci riman­gono solo 16 anni per cor­reg­gere la rotta che, altri­menti, ci por­te­rebbe a quel fami­ge­rato innal­za­mento di oltre due gradi della tem­pe­ra­tura media sul livello degli oceani: risul­tato incom­pa­ti­bile con la soprav­vi­venza della spe­cie umana e di molte altre spe­cie viventi. Nel 1996 Gio­vanni Fran­zoni pub­blicò un pic­colo libro che poi era una Let­tera aperta per un Giu­bi­leo pos­si­bile. Il titolo era: “Farete ripo­sare la Terra”.
Ma niente è stato fatto per­ché la terra si sia potuta ripo­sare. Quello che più sor­prende è la mio­pia gene­rale sulla que­stione. C’è, nono­stante i ten­ta­tivi intra­presi appa­iano effi­meri, una fede incrol­la­bile nella mito­lo­gia della tec­nica rite­nuta in grado di por­tarci fuori dal destino segnato. In realtà la tec­nica rie­sce spesso a risol­vere alcuni pro­blemi emer­genti, con il risul­tato col­la­te­rale e inde­si­de­rato di cau­sarne dei nuovi, spesso peg­giori di quelli curati. Dall’uso di un mitico com­bu­sti­bile come l’idrogeno (che non esi­ste in natura ma dovrebbe essere pro­dotto) all’ultima tec­nica arri­vata dello sha­le­gas (estra­zione di petro­lio dalle argille con siste­ma­tica distru­zione di interi ter­ri­tori) non si prende sul serio la gra­vità del pro­blema, cer­cando piut­to­sto di aggi­rare l’ostacolo. Per­ché la que­stione ambien­tale è in realtà la vera parte oscura dello svi­luppo e della nostra civiltà. Per con­tra­starla, anzi solo per affron­tarla, ci vor­rebbe, come ha detto Carlo Petrini, una vera rivo­lu­zione delle coscienze.
Per cer­care di non cele­brare stan­ca­mente que­sta “Gior­nata della Terra”, vor­rei qui ricor­dare alcuni ammo­ni­menti di Gre­gory Bate­son (scien­ziato molto amato dal sem­pre caro Mar­cello Cini) che sono ancora d’attualità. Que­sta strana figura di scienziato-antiscienziato, bio­logo, epi­ste­mo­logo, filo­sofo, ciber­ne­tico soste­neva, para­fra­sando i versi della Bib­bia, che il dio eco­lo­gico non può essere bef­fato. Come a dire che nell’ecologia non esi­stono scor­cia­toie e, al con­tra­rio di quanto accade nella poli­tica, le fur­bi­zie e le tat­ti­che non si rile­vano effi­caci. Bate­son, in pro­po­sito, ricor­dava la poe­sia del Vec­chio Mari­naio di Cole­ridge. Alcuni mari­nai di una nave ucci­dono un alba­tros che è un ani­male sacro. La leg­gendo rac­conta che la nave viene col­pita di con­se­guenza da una sven­tura. Tutti i mari­nai muo­iono, tranne uno: il vec­chio mari­naio che è costretto a vagare per sem­pre sulla nave che non cono­sce approdi con l’animale morto sul collo. Un giorno il mari­naio diven­tato ormai vec­chio vede due crea­ture marine che fanno l’amore e si com­muove. Que­sto sen­tirsi in armo­nia con la natura inter­rompe la male­di­zione: l’albatros morto cade dal suo collo e il mari­naio può tor­nare alla sua vita.
Un secondo ammo­ni­mento di Bate­son affer­mava che: la crea­tura che la spunta con­tro l’ambiente distrugge se stessa. Quella della lotta alla natura, del suo pos­sesso, della sua mani­po­la­zione, mito­lo­gie moderne nate con la Rivo­lu­zione scien­ti­fica del Sei­cento, non sarà mai una lotta vin­cente. Ricor­dava Edgar Morin che gli esseri umani sono al 100% natura e al 100% cul­tura. Que­sto “errore mate­ma­tico” in realtà dimo­stra come, nono­stante tutto, le nostre pre­tese di domi­nio non ci col­lo­cano al di fuori della natura. Siamo nati su que­sta terra, ne fac­ciamo parte, siamo parte di essa. E’ ancora il mes­sag­gio di Sar­tre quando inci­tava a non rimuo­vere il rife­ri­mento alla comune matrice bio­lo­gica: «Non siamo esseri com­pleti. Siamo degli esseri che si dibat­tono per sta­bi­lire rap­porti umani e per arri­vare a una defi­ni­zione dell’uomo. E’ una lotta che durerà a lungo».
C’è infine un terzo ammo­ni­mento di Bate­son. Sostiene che viviamo in una casa di vetro e chi vive in una casa di vetro deve stare attento a non tirare sassi. Anche que­sto sug­ge­ri­mento è di incre­di­bile attua­lità. In que­sti giorni a Cour­mayeur gli abi­tanti e le per­sone di pas­sag­gio scru­tano ogni giorno una mon­ta­gna che sta fra­nando. Gli esperti ci spie­gano il per­ché di que­sto disa­stro che invece tutti cono­sciamo bene, al di là dei suoi aspetti tec­nici. Sem­bra una meta­fora della nostra pre­ca­ria con­di­zione di abi­tanti del pia­neta, ospiti non sem­pre gra­diti, e comun­que mal sop­por­tati quando pre­ten­diamo di essere i pro­prie­tari della casa, di oikos. Il mito di Ulisse, sem­pre spinto verso ten­ta­tivi con­ti­nui di supe­rare i limiti, muore nel momento in cui l’eroe si spinge oltre le Colonne d’Ercole; muore quel mito insieme a quella cul­tura intesa come domi­nio della natura. Noi, cele­brando que­sta Gior­nata, dovremmo invece ricor­dare l’Ulisse che rifiutò il dono dell’eternità che gli offerse Calypso.
Grazie per i commenti.

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