Benvenuti giorni degli avanzi
di Rosaria Gasparro*
È il giorno degli avanzi. Ciò che non è stato consumato ci attende. Ci nutre. C’interroga nel suo essere ancora presente, nel poter essere utilizzato, reinventato. Nel sollievo pigro di qualcosa che rimane, che dura nei giorni a venire. Ci interpella nel suo diventare scarto. In questi avanzi che riscaldo mi nutro ancora di attesa e di riposo. La mia è la festa del giorno dopo. Perché quella del giorno prima stanca nel suo esaltare mondano l’intimo e l’anima, nel suo farne sostanza mercantile. Nel suo breve durare ad altissimo vorticoso consumo di aspettative, mancanze, forze. Nel suo negarsi ai tanti. Nel suo scordarsi di chi sta peggio, nell’acuire il loro star male, nel suo fare i conti sbagliati. Stanca per il troppo rumore, per l’entropia che misura il disordine di un sistema. E la sua ipocrisia. Troppo mondo in un solo giorno lastricato di buone intenzioni che non superano le soglie minime della notte. Troppa folla per ritrovarsi e per perdersi.
Gli avanzi sono il dono del giorno dopo, il legame con il perdono. Per tutti gli scarti e i rifiuti che produciamo, che sempre più spesso sono esseri umani scaricati nelle periferie del mondo.
Gli avanzi proseguono, vanno oltre. Rimangono quando tutto si spegne. Portano la festa perduta nei giorni feriali. Sono un’arte antica che insegna a custodire, conservare resti, semi e segni profondi. Per tenerli con sé nei giorni futuri.
Insegnano gli avanzi a far avanzare qualcosa di noi. A preparare quantità eccedente di gesti e poesia per ospiti di passaggio. Da poter offrire nella gratuità per onorare la vita. Perché il giorno dopo ritorniamo ad avere fame.
Sono per i natali plurali, terra terra, di chi nasce il giorno dopo. E a volte sul mare. Un’edicola votiva nei giorni qualunque.
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