La campagna antagonista
L'artista e agroecologista spagnolo Fernando
García-Dory racconta il suo progetto «InLand - Campo
Adentro», che presenta in Italia nella mostra «Grow It Yourself»
al Pac di Torino, a cura di Marco Scotini
Esplorare il territorio spagnolo per tentare un matrimonio fra campagna e città, magari spostando i confini, ritracciando il contesto metropolitano e insieme ibridandolo con l’ambiente rurale. In fondo, in tempi non lontani, l’esistenza degli esseri umani procedeva così, senza grandi polarità, in un cerchio che stringeva le maglie intorno a natura, società e cultura.
Si sposta e viaggia proprio in questa direzione Fernando García-Dory, artista di Madrid (nato nel 1978, vive tra la Spagna e Berlino) che è conosciuto e riportato dalle cronache come un «agroecologist», grazie ai suoi progetti che tentano di ricondurre al centro del dibattito internazionale l’urgenza dell’universo rurale e le sue complesse tematiche. Dopo aver sviscerato — anche in un libro — l’esperienza pionieristica sull’agricoltura integrata e la sostenibilità ecologica dell’ingegnere delle Mauritius George Chan (Dream Farms. Fish-Banana-Chicken Revolution), García-Dory si presenta nella mostra Grow It Yourself al Pac di Torino con il lavoro condotto in Spagna nell’ambito del progetto Inland — Campo Adentro. Per l’occasione, lo ha rielaborato attraverso le opere di Mario Garcia Torres, Susana Velasco e il duo Espada y Monleon.
Campo Adentro ha alle sue spalle un lungo percorso: è germogliato nel 2010 e l’artista lo spiega così: «L’obiettivo principale era trovare un campo d’azione per l’arte, analizzando le proposte che arrivavano dal movimento contadino e cercando un suo possibile ruolo nei processi di scambio sociale. L’idea era quella di creare una struttura politica e sociale, una piattaforma di collaborazione tra governo, agenti e istituzioni artistiche, e il movimento sociale rurale. Il fine era quello di stimolare un dibattito sul futuro dell’ambiente rurale senza trascurare le rappresentazioni che il mondo dell’arte ha di esso. ’Rurale’ è, infatti, un tipo di organizzazione sociale, una tipologia di utilizzo delle risorse. Indica che la campagna è la causa della città, sebbene non siano luoghi in contrapposizione. Non credo che la campagna incarni il bene e la città il male. La prima però può trasformarsi in un mezzo tattico, in maniera più o meno simbolico, per il raggiungimento di alcuni obiettivi. ’Rurale’ significa anche stare in un luogo dove le cose possono funzionare in modo diverso, per esempio nella gestione delle risorse comuni, dell’alimentazione o della terra, tutti temi vitali nell’attuale fase di espansione del capitalismo».
Dopo i suoi progetti a lungo termine nelle aree del Pacifico e nelle isole caraibiche, García-Dory è tornato a interessarsi alle dinamiche geopolitiche che investono l’Europa: rovesciare i modelli dominanti di produzione è la parola d’ordine. E la strategia comunicativa è organizzare delle conferenze internazionali e un programma di residenze, non trascurando il settore espositivo e quello divulgativo tramite pubblicazioni.
Quando è all’opera, l’artista promuove l’incontro tra agricoltori, intellettuali, filosofi, responsabili delle politiche del territorio, curatori di mostre: un parterre inedito che si pone nella società dei potenti come una mente collettiva «antagonista», pronta a che rideterminare — a partire da nuove esperienze e desideri sovvertitori — le relazioni fra natura e cultura.
Dopo i suoi progetti a lungo termine nelle aree del Pacifico e nelle isole caraibiche, García-Dory è tornato a interessarsi alle dinamiche geopolitiche che investono l’Europa: rovesciare i modelli dominanti di produzione è la parola d’ordine. E la strategia comunicativa è organizzare delle conferenze internazionali e un programma di residenze, non trascurando il settore espositivo e quello divulgativo tramite pubblicazioni.
Quando è all’opera, l’artista promuove l’incontro tra agricoltori, intellettuali, filosofi, responsabili delle politiche del territorio, curatori di mostre: un parterre inedito che si pone nella società dei potenti come una mente collettiva «antagonista», pronta a che rideterminare — a partire da nuove esperienze e desideri sovvertitori — le relazioni fra natura e cultura.
«L’essenza dell’agricoltura è coltivare, cioè avere cura — afferma Fernando García-Dory — La formalizzazione del progetto supera il concetto di arte relazionale, così significativa negli anni ’90. Si tratta, più correttamente, di un’arte relazionale antagonistica. Quest’ultima definizione è di Claire Bishop, e sottolinea come, al di là del bel momento di empatia e collaborazione, i rapporti tra artista e pubblico debbano necessariamente creare spazi di critica e trasformazione. È proprio questo che intendevo fare quando nel LaBoral costruii, con il legno recuperato da un’installazione di Rirkrit Tiravanija, una copia identica della stanza dove si riuniscono i pastori per le loro assemblee. In seguito, è stata utilizzata realmente per questo motivo: vi si è svolta l’assemblea della Federazione dei Pastori. L’arte ha assunto, in questo modo, tutto il significato della relazione».
Le proposte di questo agroecologista non si fermano alla pura teoria né a un gioco di ruoli. Campo Adentro non è rimasto a galleggiare nella costellazione delle utopie non percorribili su questa terra, ma sta diventando qualcosa di più di un progetto artistico.
«Sta per trasformarsi in un possibile ingranaggio di formazione e di insediamento rurale, con implicazioni commerciali — continua García-Dory — Abbiamo costituito un gruppo di ricerca, Ecologie del sistema dell’arte, nuovi territori e paesaggi della cultura contemporanea, che si riunisce a Matadero Madrid e in altri luoghi — cito tra tutti un terreno sperimentale della città chiamato Nuevo Jardín de Dalias. Mi piace l’idea di un progetto che somigli a un movimento, a un’organizzazione in grado di sperimentare nuovi modelli di arte. Si può diffondere questa metodologia anche in altri contesti — come la Scandinavia, la Francia, l’Inghilterra e la Russia: qui, tra l’altro, mi hanno chiamato per intervenire in un antico kolchoz del Novecento. In questo luogo ora si sperimenta sulle New Rural Arts (Nuove Arti Rurali), ma il mio obbiettivo finale è avviare una situazione che combini teatro, musica e tecniche dell’apicultura. Mi interessa continuare a sviluppare piccoli progetti, sostenibili, utili, che possano avere poi un loro corso autonomo. Come la creazione di una Scuola Elementare di Artigianato a Mallorca, concepita come uno strumento per riappropriarsi di nuovi modi di fare e di imparare, aiutando l’economica locale a rigenerarsi».
Uscendo dalla campagna e dalle politiche ambientali, l’artista tira fuori un asso dalla manica: presto, pubblicherà un libro illustrato per bambini. Anche qui, una promessa di ecologia dell’immagine.
(Ha collaborato per la traduzione Deborah Parisi)
Uscendo dalla campagna e dalle politiche ambientali, l’artista tira fuori un asso dalla manica: presto, pubblicherà un libro illustrato per bambini. Anche qui, una promessa di ecologia dell’immagine.
(Ha collaborato per la traduzione Deborah Parisi)
LA MOSTRA
Il giardinaggio? Non è un hobby per signore inglesi, ma emergerà come una nuova forza economica per resistere al capitalismo. È quanto sostiene Marco Scotini, curatore della mostra Grow It Yourself, appena inauguratasi all’interno del Pac, Parco d’Arte Vivente di Torino (visitabile fino al 18 ottobre), secondo appuntamento che entra nella natura con un progetto politico volto a decostruire i sistemi esistenti.
Questa volta, dopo la precedente rassegna Vegetation as a political agent, l’attenzione è tutta concentrata sulle forme cooperative di riproduzione alimentare, pratiche che ridisegnano l’ambito del «comune»: si va dalle attività collettive del farming alle organizzazioni comunitarie, fino agli orti urbani. La rassegna al Pac presenta una serie di esperimenti in cui la produzione agricola viene «contaminata» dall’immaginario artistico, seguendo la strada dell’autogestione. «È possibile un uso non capitalistico delle risorse naturali — si chiede Scotini — un’opposizione al modello di sviluppo espropriativo ed estrattivo che viene imposto a ogni latitudine del globo? Come reagire, per esempio, di fronte alla recente approvazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip, tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea?».
Questa volta, dopo la precedente rassegna Vegetation as a political agent, l’attenzione è tutta concentrata sulle forme cooperative di riproduzione alimentare, pratiche che ridisegnano l’ambito del «comune»: si va dalle attività collettive del farming alle organizzazioni comunitarie, fino agli orti urbani. La rassegna al Pac presenta una serie di esperimenti in cui la produzione agricola viene «contaminata» dall’immaginario artistico, seguendo la strada dell’autogestione. «È possibile un uso non capitalistico delle risorse naturali — si chiede Scotini — un’opposizione al modello di sviluppo espropriativo ed estrattivo che viene imposto a ogni latitudine del globo? Come reagire, per esempio, di fronte alla recente approvazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip, tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea?».
Grow It Yourself è ovviamente una mostra e non nasce per risolvere i gap sociali, ma ha un obiettivo ambizioso: indicare alcune deviazioni possibili delle politiche «agroalimentari», invitando a trasgredire, inventando modelli alternativi della produzione, sfidando i monopoli e auspicando il controllo dal basso. L’esposizione si sviluppa attraverso la ricerca dei collettivi Futurefarmers, Myvillages, Inland-Campo Adentro (ideato da Fernando Garcia-Dory con la partecipazione di altri artisti), e un inedito contributo di Piero Gilardi (Ecoagora).Il collettivo Myvillages, fondato da Kathrin Böhm, esporrà anche dei prodotti acquistabili nei «punti vendita» della serie The International Village Shop.
«La transizione da un’economia agricola e di estrazione ad un’economia basata sui servizi e, soprattutto, slegata dalla terra, ha modificato il nostro modo di guardare al paesaggio rurale — scrive Wapke Feenstra di Myvillages — Ora è un oggetto del desiderio… Il mio contributo, in qualità di artista, sta nel seguire come un’ombra coloro che utilizzano il paesaggio e documentare le loro azioni con fotografie, disegni e parole; in questo modo, sono riuscita a smuovere qualcosa nel paesaggio, inteso come genere destinato a proseguire. Nulla è scontato».
«La transizione da un’economia agricola e di estrazione ad un’economia basata sui servizi e, soprattutto, slegata dalla terra, ha modificato il nostro modo di guardare al paesaggio rurale — scrive Wapke Feenstra di Myvillages — Ora è un oggetto del desiderio… Il mio contributo, in qualità di artista, sta nel seguire come un’ombra coloro che utilizzano il paesaggio e documentare le loro azioni con fotografie, disegni e parole; in questo modo, sono riuscita a smuovere qualcosa nel paesaggio, inteso come genere destinato a proseguire. Nulla è scontato».
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