giovedì 18 giugno 2015

CAMPO ADENTRO

La campagna antagonista


L'artista e agroecologista spagnolo Fernando 
García-Dory racconta il suo progetto «InLand - Campo 
Adentro», che presenta in Italia nella mostra «Grow It Yourself» 
al Pac di Torino, a cura di Marco Scotini


 
Dal progetto «InLand - Campo Adentro» di Fernando García-Dory (con Susanna Velasco)




Esplo­rare il ter­ri­to­rio spa­gnolo per ten­tare un matri­mo­nio fra cam­pa­gna e città, magari spo­stando i con­fini, ritrac­ciando il con­te­sto metro­po­li­tano e insieme ibri­dan­dolo con l’ambiente rurale. In fondo, in tempi non lon­tani, l’esistenza degli esseri umani pro­ce­deva così, senza grandi pola­rità, in un cer­chio che strin­geva le maglie intorno a natura, società e cul­tura.

Si spo­sta e viag­gia pro­prio in que­sta dire­zione Fer­nando García-Dory, arti­sta di Madrid (nato nel 1978, vive tra la Spa­gna e Ber­lino) che è cono­sciuto e ripor­tato dalle cro­na­che come un «agroe­co­lo­gist», gra­zie ai suoi pro­getti che ten­tano di ricon­durre al cen­tro del dibat­tito inter­na­zio­nale l’urgenza dell’universo rurale e le sue com­plesse tema­ti­che. Dopo aver svi­sce­rato — anche in un libro — l’esperienza pio­nie­ri­stica sull’agricoltura inte­grata e la soste­ni­bi­lità eco­lo­gica dell’ingegnere delle Mau­ri­tius George Chan (Dream Farms. Fish-Banana-Chicken Revo­lu­tion), García-Dory si pre­senta nella mostra Grow It Your­self al Pac di Torino con il lavoro con­dotto in Spa­gna nell’ambito del pro­getto Inland — Campo Aden­tro. Per l’occasione, lo ha rie­la­bo­rato attra­verso le opere di Mario Gar­cia Tor­res, Susana Vela­sco e il duo Espada y Monleon.
Inland - Campo Adentro, courtesy of Fernando Garcia-Dory, expo-11-viejas-caban¦âas-Almonaster-susana-velasco-1
Campo Aden­tro ha alle sue spalle un lungo per­corso: è ger­mo­gliato nel 2010 e l’artista lo spiega così: «L’obiettivo prin­ci­pale era tro­vare un campo d’azione per l’arte, ana­liz­zando le pro­po­ste che arri­va­vano dal movi­mento con­ta­dino e cer­cando un suo pos­si­bile ruolo nei pro­cessi di scam­bio sociale. L’idea era quella di creare una strut­tura poli­tica e sociale, una piat­ta­forma di col­la­bo­ra­zione tra governo, agenti e isti­tu­zioni arti­sti­che, e il movi­mento sociale rurale. Il fine era quello di sti­mo­lare un dibat­tito sul futuro dell’ambiente rurale senza tra­scu­rare le rap­pre­sen­ta­zioni che il mondo dell’arte ha di esso. ’Rurale’ è, infatti, un tipo di orga­niz­za­zione sociale, una tipo­lo­gia di uti­lizzo delle risorse. Indica che la cam­pa­gna è la causa della città, seb­bene non siano luo­ghi in con­trap­po­si­zione. Non credo che la cam­pa­gna incarni il bene e la città il male. La prima però può tra­sfor­marsi in un mezzo tat­tico, in maniera più o meno sim­bo­lico, per il rag­giun­gi­mento di alcuni obiet­tivi. ’Rurale’ signi­fica anche stare in un luogo dove le cose pos­sono fun­zio­nare in modo diverso, per esem­pio nella gestione delle risorse comuni, dell’alimentazione o della terra, tutti temi vitali nell’attuale fase di espan­sione del capi­ta­li­smo».
Dopo i suoi pro­getti a lungo ter­mine nelle aree del Paci­fico e nelle isole carai­bi­che, García-Dory è tor­nato a inte­res­sarsi alle dina­mi­che geo­po­li­ti­che che inve­stono l’Europa: rove­sciare i modelli domi­nanti di pro­du­zione è la parola d’ordine. E la stra­te­gia comu­ni­ca­tiva è orga­niz­zare delle con­fe­renze inter­na­zio­nali e un pro­gramma di resi­denze, non tra­scu­rando il set­tore espo­si­tivo e quello divul­ga­tivo tra­mite pub­bli­ca­zioni.
Quando è all’opera, l’artista pro­muove l’incontro tra agri­col­tori, intel­let­tuali, filo­sofi, respon­sa­bili delle poli­ti­che del ter­ri­to­rio, cura­tori di mostre: un par­terre ine­dito che si pone nella società dei potenti come una mente col­let­tiva «anta­go­ni­sta», pronta a che ride­ter­mi­nare — a par­tire da nuove espe­rienze e desi­deri sov­ver­ti­tori — le rela­zioni fra natura e cultura.
«L’essenza dell’agricoltura è col­ti­vare, cioè avere cura — afferma Fer­nando García-Dory — La for­ma­liz­za­zione del pro­getto supera il con­cetto di arte rela­zio­nale, così signi­fi­ca­tiva negli anni ’90. Si tratta, più cor­ret­ta­mente, di un’arte rela­zio­nale anta­go­ni­stica. Quest’ultima defi­ni­zione è di Claire Bishop, e sot­to­li­nea come, al di là del bel momento di empa­tia e col­la­bo­ra­zione, i rap­porti tra arti­sta e pub­blico deb­bano neces­sa­ria­mente creare spazi di cri­tica e tra­sfor­ma­zione. È pro­prio que­sto che inten­devo fare quando nel LaBo­ral costruii, con il legno recu­pe­rato da un’installazione di Rir­krit Tira­va­nija, una copia iden­tica della stanza dove si riu­ni­scono i pastori per le loro assem­blee. In seguito, è stata uti­liz­zata real­mente per que­sto motivo: vi si è svolta l’assemblea della Fede­ra­zione dei Pastori. L’arte ha assunto, in que­sto modo, tutto il signi­fi­cato della relazione».
Le pro­po­ste di que­sto agroe­co­lo­gi­sta non si fer­mano alla pura teo­ria né a un gioco di ruoli. Campo Aden­tro non è rima­sto a gal­leg­giare nella costel­la­zione delle uto­pie non per­cor­ri­bili su que­sta terra, ma sta diven­tando qual­cosa di più di un pro­getto artistico.
Inland - Campo Adentro, courtesy of Fernando Garcia-Dory, viejas-caban¦âas-susana-velasco-1
«Sta per tra­sfor­marsi in un pos­si­bile ingra­nag­gio di for­ma­zione e di inse­dia­mento rurale, con impli­ca­zioni com­mer­ciali — con­ti­nua García-Dory — Abbiamo costi­tuito un gruppo di ricerca, Eco­lo­gie del sistema dell’arte, nuovi ter­ri­tori e pae­saggi della cul­tura con­tem­po­ra­nea, che si riu­ni­sce a Mata­dero Madrid e in altri luo­ghi — cito tra tutti un ter­reno spe­ri­men­tale della città chia­mato Nuevo Jar­dín de Dalias. Mi piace l’idea di un pro­getto che somi­gli a un movi­mento, a un’organizzazione in grado di spe­ri­men­tare nuovi modelli di arte. Si può dif­fon­dere que­sta meto­do­lo­gia anche in altri con­te­sti — come la Scan­di­na­via, la Fran­cia, l’Inghilterra e la Rus­sia: qui, tra l’altro, mi hanno chia­mato per inter­ve­nire in un antico kol­choz del Nove­cento. In que­sto luogo ora si spe­ri­menta sulle New Rural Arts (Nuove Arti Rurali), ma il mio obbiet­tivo finale è avviare una situa­zione che com­bini tea­tro, musica e tec­ni­che dell’apicultura. Mi inte­ressa con­ti­nuare a svi­lup­pare pic­coli pro­getti, soste­ni­bili, utili, che pos­sano avere poi un loro corso auto­nomo. Come la crea­zione di una Scuola Ele­men­tare di Arti­gia­nato a Mal­lorca, con­ce­pita come uno stru­mento per riap­pro­priarsi di nuovi modi di fare e di impa­rare, aiu­tando l’economica locale a rige­ne­rarsi».
Uscendo dalla cam­pa­gna e dalle poli­ti­che ambien­tali, l’artista tira fuori un asso dalla manica: pre­sto, pub­bli­cherà un libro illu­strato per bam­bini. Anche qui, una pro­messa di eco­lo­gia dell’immagine.
(Ha col­la­bo­rato per la tra­du­zione Debo­rah Parisi)
LA MOSTRA
Il giar­di­nag­gio? Non è un hobby per signore inglesi, ma emer­gerà come una nuova forza eco­no­mica per resi­stere al capi­ta­li­smo. È quanto sostiene Marco Sco­tini, cura­tore della mostra Grow It Your­self, appena inau­gu­ra­tasi all’interno del Pac, Parco d’Arte Vivente di Torino (visi­ta­bile fino al 18 otto­bre), secondo appun­ta­mento che entra nella natura con un pro­getto poli­tico volto a deco­struire i sistemi esi­stenti.
Que­sta volta, dopo la pre­ce­dente ras­se­gna Vege­ta­tion as a poli­ti­cal agent, l’attenzione è tutta con­cen­trata sulle forme coo­pe­ra­tive di ripro­du­zione ali­men­tare, pra­ti­che che ridi­se­gnano l’ambito del «comune»: si va dalle atti­vità col­let­tive del far­ming alle orga­niz­za­zioni comu­ni­ta­rie, fino agli orti urbani. La ras­se­gna al Pac pre­senta una serie di espe­ri­menti in cui la pro­du­zione agri­cola viene «con­ta­mi­nata» dall’immaginario arti­stico, seguendo la strada dell’autogestione. «È pos­si­bile un uso non capi­ta­li­stico delle risorse natu­rali — si chiede Sco­tini — un’opposizione al modello di svi­luppo espro­pria­tivo ed estrat­tivo che viene impo­sto a ogni lati­tu­dine del globo? Come rea­gire, per esem­pio, di fronte alla recente appro­va­zione del Tran­sa­tlan­tic Trade and Invest­ment Part­ner­ship, Ttip, tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea?».
I like being a farmer and I would like to stay one, courtesy of Myvillages_2-2
Grow It Your­self è ovvia­mente una mostra e non nasce per risol­vere i gap sociali, ma ha un obiet­tivo ambi­zioso: indi­care alcune devia­zioni pos­si­bili delle poli­ti­che «agroa­li­men­tari», invi­tando a tra­sgre­dire, inven­tando modelli alter­na­tivi della pro­du­zione, sfi­dando i mono­poli e auspi­cando il con­trollo dal basso. L’esposizione si svi­luppa attra­verso la ricerca dei col­let­tivi Futu­re­far­mers, Myvil­la­ges, Inland-Campo Aden­tro (ideato da Fer­nando Garcia-Dory con la par­te­ci­pa­zione di altri arti­sti), e un ine­dito con­tri­buto di Piero Gilardi (Ecoa­gora).Il col­let­tivo Myvil­la­ges, fon­dato da Kath­rin Böhm, esporrà anche dei pro­dotti acqui­sta­bili nei «punti ven­dita» della serie The Inter­na­tio­nal Vil­lage Shop.
«La tran­si­zione da un’economia agri­cola e di estra­zione ad un’economia basata sui ser­vizi e, soprat­tutto, sle­gata dalla terra, ha modi­fi­cato il nostro modo di guar­dare al pae­sag­gio rurale — scrive Wapke Feen­stra di Myvil­la­ges — Ora è un oggetto del desi­de­rio… Il mio con­tri­buto, in qua­lità di arti­sta, sta nel seguire come un’ombra coloro che uti­liz­zano il pae­sag­gio e docu­men­tare le loro azioni con foto­gra­fie, dise­gni e parole; in que­sto modo, sono riu­scita a smuo­vere qual­cosa nel pae­sag­gio, inteso come genere desti­nato a pro­se­guire. Nulla è scontato».
Grazie per i commenti.

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