Le compagnie del pane buono
di Claudio Pozzi
Negli ultimi anni la cerealicoltura sta conoscendo un processo di ripensamento della filiera, a partire dalla scelta della semente. Nuove filiere stanno diventando realtà grazie alle molte esperienze che ricostruiscono saperi, conoscenze, tecniche, relazioni e tecnologie per offrire prodotti finiti profondamente differenti da quelli che ancora sono prassi sugli scaffali dei forni oltre che della media e grande distribuzione.
L’interesse verso il fenomeno è ampio e sempre più all’attenzione del grande pubblico, grazie anche alla comunicazione generalista. La sfida è di rafforzare tra gli attori di queste nuove filiere la consapevolezza che questi prodotti (pane, pizza, pasta o prodotti da forno) incorporano un diverso concetto di qualità, legato al loro specifico valore nutrizionale e salutistico, oltre che ambientale e di relazione, e non più legato ad un valore tecnologico dato dalla rispondenza della materia prima alle esigenze della lavorazione industriale.
Il campo: sementi e suolo tornano ad essere elementi centrali delle fasi agronomiche della produzione
Riportare diversità nelle aziende agricole, tramite l’utilizzo di varietà locali, di vecchia costituzione, miscugli o popolazioni, coltivate con tecniche di agricoltura biologica, richiede in primo luogo di riportare l’attenzione sulle caratteristiche del contesto di coltivazione.
Dopo decenni in cui il terreno e il clima sono stati considerati fattori secondari, modellabili in funzione delle esigenze delle varietà moderne scelte per la coltura, negli ultimi anni è emersa la consapevolezza della necessità di considerare suolo, clima e coltura come un unicum e di impostare le pratiche agricole in modo da scegliere le colture e le varietà in base all’ambiente di coltivazione.
Le relazioni economiche e sociali
Un elemento fondamentale di queste filiere ricostruite è di essere basate su un diverso modo di relazionarsi da parte degli attori coinvolti, che si sviluppa di pari passo al crescere di una finalità condivisa. Si parla di un nuovo patto sociale.Questo è di fatto la risultante dei molteplici sistemi di relazioni che animano i vari progetti di filiera attivati nei territori, che vedono coinvolti agricoltori, trasformatori nelle varie fasi, fornitori di servizi, eventuali distributori intermedi, consumatori dei prodotti finali (in molti casi organizzati in forma collettiva).
Ciascuno di questi attori è mosso da interessi specifici, ma ciò che fa la differenza è (con le parole di un agricoltore) la “comunione di intenti”. Questa condivisione di sforzi e obiettivi di fondo va a declinarsi nei molteplici ambiti in cui si crea e si riconosce il valore della qualità dei prodotti di queste filiere.
Questo processo di “co-produzione” che, come abbiamo detto, inizia in campo e continua lungo tutte le fasi di produzione e trasformazione, fino al consumo finale, non potrebbe avvenire, in primo luogo, senza lo scambio di saperi tra gli agricoltori, la creazione di nuova conoscenza in collaborazione con i ricercatori, il confronto tra produttori di materia prima e trasformatori (mugnai, panificatori, pastai). Il tutto condividendo l’idea di fondo di portare avanti un processo produttivo e di realizzare un prodotto nel rispetto delle risorse ambientali impiegate e del benessere di chi quel prodotto consumerà.
Una qualità così costruita deve però essere riconosciuta e trovare apprezzamento anche da parte dei consumatori dei prodotti finali affinché le filiere possano operare in condizioni di sostenibilità. Questo implica la presenza di un’adeguata comunicazione relativamente alle caratteristiche dei processi produttivi e dei prodotti. Attraverso di questa, diviene fondamentale il diverso modo con cui in queste filiere è gestito l’aspetto economico: la ripartizione del valore creato come anche quella del rischio di impresa.
La condivisione della motivazione di fondo e dei principi di solidarietà e mutualismo si traducono nella ricerca di meccanismi per garantire un prezzo equo agli agricoltori e per realizzare forme di “corresponsabilità”, chiamando anche i consumatori ad assumere un ruolo attivo e responsabile nel processo produttivo.
In queste esperienze si sperimentano forme innovative di programmazione degli investimenti produttivi sulla base degli impegni di acquisto; si definisce il giusto prezzo della materia prima non in relazione alle fluttuazioni di mercati lontani, ma con riferimento ai costi reali di produzione, nelle specifiche condizioni ambientali e aziendali; si stabilisce il prezzo del prodotto finale tenendo conto della giusta remunerazione di tutti i passaggi produttivi e del diritto di tutti ad un “buon” pane (in altre parole della sostenibilità sociale di questo nuovo mercato, rifuggendo da forme di elitarismo); si sperimentano forme nuove di solidarietà per affrontare situazioni particolari di difficoltà (forte riduzione o perdita del raccolto).
Saranno questi i temi principali di Filigrane 2, l’evento in programma a Rosignano Marittimo (Livorno) il 9 e 10 ottobre. Ogni partecipante avrà un ruolo utile: porre domande, raccontare esperienze, descrivere soluzioni, successi o fallimenti.Come l’evidenza insegna, si tratta di percorsi che richiedono un forte investimento nello sviluppo di fiducia, di senso di responsabilità, di reciprocità, solidarietà e coerenza. E ancor prima nella crescita di consapevolezza. Attingendo ancora dalle parole di un agricoltore, questa è “una ricostruzione del mercato basata sulla condivisione di consapevolezza”. Sono dunque processi lenti, non scontati, che vanno adeguatamente curati.
Anche in questo caso lo scambio tra esperienze sui territori o tra territori può aiutare molto. Gli incontri organizzati da Rete Semi Rurali lo hanno fatto emergere chiaramente. Altrettanto importante appare essere il supporto che può venire da soggetti in grado di facilitare e coltivare questi processi sui territori: l’attività dei tecnici e animatori attivi in alcune delle filiere ben testimonia questo aspetto.
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