A
partire dalla propria esperienza si sente la vulnerabilità
dell'esistenza e si scopre anche la vulnerabilità altrui. È
dall'angoscia che tutto sta cadendo, che si può cercare un utilizzo
politico della paura, originale e non omologata, realizzando che la
vita di ognuno/a dipende da altri/e.
Se
non c'è autosufficienza non si ha un totale controllo, né sui
popoli, né sulle vite singole. Si fanno danni per tenere il
controllo di popoli e terre, ma proprio l'aver subito un danno
diventa occasione per riflettere, elaborare di quanto anche altri/e,
per le più disparate questioni e in diversi luoghi, soffrono e non
realizzano i propri desideri. E con l'altro/a si può iniziare a
pensare alla vita quotidiana, all'oggi, alla vita materiale (é
successo con le donne di Acerra “Comitato donne 29 agosto” per la
vicenda dei rifiuti in Campania).
Nel
nostro presente si hanno moltitudini di “vite invisibili” che per
essere svelate hanno bisogno di sfidare l'insostenibile della propria
precarietà, per elaborare e credere in un pensiero libero e
originale, per essere così liberi da intimidazioni e soggiogamenti.
Con la forza dello sguardo nasce l'interesse per l'altro/a, guardare
ciò che accade e interrogare chi appare, con tale relazione fare
mondo e fare casa.
Prima
condizione è posizionarsi dove cade lo sguardo, l'altro/a appare nel
luogo del proprio abitare: immigrato/a, contadino/a, nemico/a,
artista... e come rendere casa, fare casa, il luogo dello sguardo:
muovendosi in relazione con l'altro/a, che si è svelato al mio
sguardo. Si pensa al mondo, alla terra , e ci si occupa di ciò che
fa inceppo, ostacolo (l'altro è l'origine della propria paura perché
fa limite alle proprie sicurezze). Così vite precarie e terra,
attraversate da un atto squisitamente politico, da “vite
invisibili” che si rendono visibili, si vede ciò che prima non si
vedeva, si pensa a ciò che prima non si pensava, a vite raccontate
ad una ad una.
Ci
si separa da una politica che non vede l'invisibile, come fece il
movimento delle donne, per andare verso un proprio sentire,
immaginare, pensare, Si apprende un saper fare in un intreccio di
relazioni che fanno polis, proprio perché si vede la precarietà
dell'altro/a.
Come
le labbra, del sesso, dall'una all'altra, fecondità da venire, mondi
differenti che si scambiano, come un pensiero d'arte, un saper fare,
fino a fare pace con l'altro. Si opera in un laboratorio per progetti
di vita, ed appaiono le differenze, propria e quelle
dell'altro/a/i/e. Da ognuno e ognuna si attraversa un collettivo.
Dall'uno all'altro, muovendosi dalla propria difficoltà, dall'ansia
del presente, dalla mancanza, si fatica per andare oltre. Non ci si
sente interrogati dal contesto, ma dalla stessa vita, è la vita che
mette al mondo mondi differenti.
Per
l'esperienza della devastazione della propria terra ci si sente
chiamati dal dolore e quando si è convocati si arriva in presenza
dell'altro/a che prima non era nel tuo sguardo, c'è l'altrove, come
i produttori del cibo che ci nutre, contadini/e. La relazione con il
contadino/a arriva dal capire del non poter vivere/sopravvivere da
solo/a. La stessa vita è relazione, il qui ed ora, e così
l'altro/a diventa un'autorità, dona il verso alla propria esistenza,
come un improvviso comando che ti chiama e ti spaventa.
Dall'esperienza
si scopre che la propria vita è precaria, infatti attraverso il
sostare, il guardare, l'ascoltare si avverte la precarietà
dell'altro/a e si può svelare “l'urgenza”, la propria necessità.
È svelando la propria angoscia che si rende visibile l'altro/a,
staccandolo dal tutto si sente la sua voce. E qualcosa d'altro
accade che ci interpella. Convocati davanti all'altro/a si è in una
tensione che sarà solo ambivalenza. Lo scambio di saperi, il fare in
relazione, è politica in presenza: scoperta del volto senza violare
la sovranità altrui, ma in un incontro che sposta.
Aggregazioni
collettive, reti, movimenti, sono segnalatori delle trasformazioni
del mondo e della terra, non ubbidendo più a ciò che non credono,
imparando a governare se stessi in relazione con altre/i. Come un
fare materia organica, humus, per restituire alla terra l’attenzione
e l’amore che merita la Madre
Questo
è accaduto in Corto Circuito Flegreo, vite differenti e differenti
desideri che trovano un punto d'incontro, diventando visibili
all'altro/a, iniziando dall'angoscia del vivere pensare ad agire.
Oggi c'è racconto di quel che accade nel reale ad ognuno/a di
quest'Associazione ed oltre. A partire dal sapere quotidiano si può
far pratica di restituzione alla terra, cultura di pace, creando
intrecci collettivi pur percependo le fragilità del quotidiano, non
invadendo lo spazio altrui ma entrando in questo spazio per
rafforzare il processo delle relazioni, nostro unico e insostituibile
capitale.
In
forma collettiva ci si è avvicinati ai movimenti (popolari) che sono
i segnalatori delle trasformazioni del mondo e della terra: stato
corporativo, privatizzazioni, mal governo, corruzione. I movimenti
cercano e fanno teoria/ pratica per rompere il processo di
irrigidimento degli Stati, di militarizzazione dei territori e di
appropriazioni delle risorse. Molti movimenti polari (come beni
comuni) fanno oggi scarto e scompongono il sistema, non ubbidiscono a
ciò che non credono e si impara a governare in relazione. È fare
materia organica per restituire alla terra, per una visione del mondo
a partire da chi fa terra, una attenzione alla terra per amare la
madre.
I
saperi e le conoscenze di donne del mondo sono concretezza e sostanza
per le relazioni tra esseri umani e terra/fonte di sostentamento. A
partire dal sapere quotidiano ( il femminile conosce per esperienza
mondo e immondo) si può far pratica di restituzione alla terra,
cultura di pace avvertendo paure e attrazioni, e fare vita collettiva
percependo le fragilità, non invadendo lo spazio altrui, sempre con
“intima estraneità”.
Contributo
di Nadia Nappo e Maria Rosaria Mariniello per Incontro nazionale sui sistemi di garanzia partecipata in Italia, organizzato da Cortocircuito flegreo, 31/5 e 1-2/6/2014
Letture
di
- Judith Buttler,
Vite
Precarie,
Postmedia Books, 2013,
-
Vandana Shiva,
Fare la pace con la terra,
Feltrinelli, 2013
-
Adriana Cavarero, Nel
nome di Antigone,
in «Quaderni
di Micromega»,
No
alla guerra di Bush,
suppl.a n.1/2003
-
Luisa
Morgantini,http://luisamorgantini.net/files/Fondazione%20Frammartino.doc
Per
essere il cuore pensante della baracca (da frase di Etty Hillesum)
-
Angela Putino, Simone
Weil. Un'intima estraneità,
Città aperta, 2006
Nessun commento:
Posta un commento
Commento Pubblicato