La terra prima di Expo
Dai Cabassi, ex proprietari di parte dell’area, il racconto inedito sulle vicende del sito che ospiterà l’Esposizione universale dal 1° maggio 2015. Per capire meglio quel che accade oggi, ciò che quei terreni diventeranno dopo l'ottobre 2015 e per conoscere i nomi dei responsabili del "peccato originale", cioè l'acquisto dei terreni da parte della società Arexpo, come ha ricordato il vicesindaco di Milano Ada Luisa De Cesaris in un'intervista a la Repubblica il 20 luglio 2014 ---
di Pietro Raitano - 21 luglio 2014
Dopo gli arresti, gli appalti truccati e le tangenti, a dieci mesi dall’inaugurazione di Expo resta poco della retorica dell’evento che “farà uscire l’Italia dalla crisi”, e molto del rammarico del “noi l’avevamo detto”, poco consolatorio e un po’ beffardo. Infrastrutture Lombarde, la società per azioni di proprietà della Regione Lombardia, “stazione appaltante” per Expo 2015 spa, finisce nel mirino della magistratura. Manager della stessa società di gestione sono stati arrestati. Resta una domanda: era tutto prevedibile? E una risposta si trova guardando dall’alto il sito destinato a ospitare dal 1° maggio 2015 l’Esposizione universale, osservando quei 100 ettari di suolo un tempo agricolo su cui fervono i lavori, ai confini nordoccidentali del comune di Milano. Ripercorriamo la storia dei terreni su cui sorgerà Expo con un interlocutore particolare: la famiglia Cabassi, che per decenni è stata proprietaria quasi di un terzo di quei 100 ettari che poi, dopo vicende rocambolesche, ha venduto alla società di scopo Arexpo, partecipata da Regione Lombardia, Comune e Provincia di Milano, Comune di Rho e Fondazione Fiera.
I fratelli Marco e Matteo Cabassi guidano il gruppo della famiglia, composto da numerose società, due delle quali quotate in Borsa. Spiega Marco: “Crediamo sia utile rifare il punto, alla luce di quanto è successo negli ultimi mesi. Oggi possiamo rileggere la vicenda dei terreni, che ci ha visto protagonisti, in maniera differente. In effetti, avevamo avuto dei dubbi di fronte alle notevoli pressioni ricevute da più parti per averci fuori dall’evento. Il nostro presagio non era infondato”.
Per Matteo “i tempi sono cambiati; adesso c’è la possibilità di dire le cose in maniera più serena, più distaccata. L’Expo, da evento quasi miracoloso per Milano si è tramutato nel fallimento che sappiamo. Un’occasione mancata che non ci capiterà più.
Nessuno immaginava un simile sistema di spartizione e sprechi. Poteva essere una cosa grandiosa per la città, un’intuizione quasi geniale, una candidatura nata per caso, perché all’inizio nessuno pensava che Milano avrebbe vinto”.
Per capire, serve tornare indietro al 2006.
Prima di Expo, la Fiera. A Rho-Pero si è insediato dal marzo 2005 -in un’area dove sorgeva una raffineria- il nuovo polo fieristico. Accanto, la famiglia Cabassi è proprietaria dal dopoguerra della Cascina Triulza con vasti terreni destinati a coltivazioni ed allevamento di mucche da latte. Nel completare la Fiera ci si accorge -all’ultimo momento- che le aree di sosta non sono sufficienti, e per questo alcuni terreni della proprietà Cabassi vengono acquisiti in tutta fretta a un prezzo “calmierato” per farne parcheggi. Negli anni l’azienda agricola ha già subìto vari espropri, e altri ne subirà per far posto al carcere di Bollate, al Centro di meccanizzazione di Poste, alle Ferrovie dello Stato, alla viabilità di Comune e Provincia. I terreni della Cascina Triulza sono ormai ridotti da oltre 92 ettari a meno di 26, e l’attività agricola prima si riduce e poi si interrompe definitivamente nel 2004. In quegli anni la fiera -attraverso la sua Fondazione- acquista 52 ettari di terreni da una famiglia di produttori agricoli, il cono che si infila, verso Milano, tra le autostrade A8 (“dei Laghi”) e la A4 Milano-Torino. Il progetto è quello di completare l’area della fiera con un comparto dedicato ai servizi. “Per questo motivo -spiega Matteo Cabassi- nel2006 iniziamo una collaborazione con la società di ingegneria e progettazione della Fiera (Sviluppo Sistema fiera), per realizzare un piano di sviluppo dell’area a servizio del nuovo polo. Fondazione Fiera e noi presentiamo quindi al Comune di Milano un primo ‘piano integrato di intervento’, per proporre una modifica urbanistica”.
È a questo punto che la storia di quei terreni si intreccia con quella di Expo.
Il 16 settembre 2006, a Shangai con il premier Romano Prodi, il neo sindaco di Milano, Letizia Moratti, apre alla candidatura di Milano per ospitare l’Esposizione universale nel 2015.
Un mese dopo, sul tavolo della Presidenza del Consiglio dei ministri arriva un primo dossier di candidatura. Il Consiglio dei ministri vota a favore, ma i tempi sono strettissimi e siamo al limite: il 3 novembre infatti scadono i termini per la presentazione della candidatura. La gara si riduce a due soli contendenti: Milano e Smirne, dopo il ritiro di Mosca e Toronto. Le speranze di vincere, che erano quasi nulle, cominciano a farsi più concrete.
“Con la Fiera avevamo presentato in Comune il piano integrato di intervento -spiega Matteo Cabassi-. Per questo forse, quando il sindaco chiede una zona possibile per l’Expo, viene indicata quella di Cascina Triulza”.
“La scelta è comprensibile: servivano un milione di metri quadri nel comune di Milano -continua Marco- e non c’erano molte alternative. Inoltre la maggior parte del terreno era pubblico (della Fondazione, del Comune, della Provincia e delle Poste), e la stessa Fiera aveva fatto da consulente tecnico a Shangai proprio per la realizzazione dell’Esposizione universale. Vista così può essere anche letta come un’iniziativa positiva: un’azienda pubblica quotata -Fiera Milano spa- a gestire un’operazione su un terreno a larga maggioranza pubblico”.
Nel settembre 2006 Fondazione e Gruppo Cabassi vengono contattati dall’assessorato all’Urbanistica del Comune di Milano. “Vista la mancanza di fondi per acquisire le aree, queste sarebbero state cedute gratuitamente da subito e fino al post Expo (2007-2016), per poi essere riconsegnate, ad esclusione delle cessioni di aree pubbliche e delle opere realizzate da Expo, ai proprietari -noi e la Fondazione Fiera- che avrebbero acquisito diritti di edificazione sulla residua area.Tutte le opere pubbliche realizzate per Expo sarebbero rimaste al Comune.
Ma si trascurava un punto fondamentale: che cosa fare dopo l’Expo. Non è banale: non c’è nulla di flessibile nell’immobiliare, non si può -salvo preventivare costi irragionevolmente alti- realizzare strutture tanto complesse senza una progettualità precisa. Allora cominciano ad emergere divergenze di vedute tra gli interlocutori pubblici. Ci furono interminabili discussioni, con Poste -cui fu proposto di integrare il proprio immobile al progetto ma poi decise di non muoversi-, con RAI -per la quale si ipotizzò un nuovo centro di produzione, rimasto in sospeso-. La sensazione era che più Expo diventava un’opzione concreta, più tutti avevano paura di prendersi impegni. Qualunque cosa si diceva era a rischio di impopolarità”.
Ma nessuna decisione viene presa: del comitato organizzatore, designato a dicembre di quell’anno, fanno parte anche Bobo Craxi (allora sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi), Roberto Formigoni (allora presidente di Regione Lombardia), Filippo Penati (allora presidente della Provincia di Milano), il sindaco Moratti. A dicembre inizia il tour “promozionale” tra i Paesi che voteranno le candidature, che coinvolge anche Romano Prodi. Per un lungo periodo nessuno pare interessato al futuro delle aree.
L’accordo del 2007. Solo a giugno 2007 le cose si muovono. Letizia Moratti sigla, a nome del Comune, una scrittura privata che prevede la cessione temporanea delle aree: Fondazione Fiera e gruppo Cabassi (che controlla Belgioiosa srl, proprietaria dei terreni) si impegnano a cederle per poi riaverle a 18 mesi dalla chiusura dell’evento, “premiati” con indice di edificabilità pari a 0,52 m2 per m2 (oltre a uno 0,08 che spettava al Comune). La giunta comunale dà il via libera alla scrittura due settimane dopo, a luglio.
A settembre il Bie -Bureau of International Expositions, l’ente che gestisce “le Expo”- riceve il dossier definitivo di candidatura. Nel quale si legge chiaramente: l’Esposizione milanese godrà del diritto di superficie gratuito dell’area, “l’accordo è già stato siglato”.
“Il 28 giugno 2007 firmammo quell’accordo -spiega Matteo Cabassi- con il responsabile dell’Ufficio sviluppo strategico del Comune di Milano, incaricato di stilare il progetto Expo. L’accordo tra noi, Fondazione Fiera e Comune di Milano viene poi modificato da un addendum preparato sulla base di modifiche richieste dal consiglio comunale. In una lettera, il sindaco Moratti si dice felice per il raggiungimento dell’accordo e lo conferma in una conferenza stampa organizzata all’aeroporto di Malpensa”. Passano altri sei mesi, e a fine di marzo 2008 Milano si aggiudica l’Expo 2015. Una settimana dopo, alla cerimonia per la vittoria, Letizia Moratti festeggia felice su un pullman in corso Buenos Aires. Due settimane dopo è nominata commissario straordinario per l’evento. Altri sei mesi, e il sindaco/commissario promuove l’“Accordo di programma” che conterrà la variante per la nuova disciplina urbanistica dell’area interessata a Expo: inizia l’iter.
La Regione in campo. Ottobre 2008: per firmare l’Accordo di programma siedono al tavolo Comune e Provincia di Milano e Regione Lombardia, che assume un ruolo indispensabile per il rispetto degli accordi. Irritualmente, al tavolo non vengono invitati i soggetti proprietari della maggior parte delle aree: i Cabassi e la Fondazione Fiera. È ilprimo dicembre 2008 quando nasce ufficialmente Expo spa (allora chiamata Soge), la società di gestione. “Noi continuavamo a trattare col Comune, sollecitando che si facesse parte attiva per risolvere la questione del dopo Expo” spiegano i Cabassi. A Paolo Glisenti, amministratore delegato di Expo spa, “proponemmo di realizzare una cittadella giudiziaria, dove trasferire il tribunale, gli uffici degli avvocati, le strutture necessarie. Il carcere c’era già. Lo spostamento avrebbe avuto una funzione pubblica molto forte, avrebbe liberato un’area in centro, cambiato la città. Glisenti ci rispose che non poteva decidere lui, che la scelta è politica”.
Dopo le sue dimissioni, ad aprile 2009 l’onorevole Lucio Stanca diventa amministratore delegato e vicepresidente di Expo spa, accompagnato da polemiche per il compenso e la doppia carica di parlamentare.
A ottobre 2009 la questione dei terreni si riapre: viene messo in discussione l’accordo del 2007 e lo stesso Stanca, preoccupato del risvolto economico e delle tempistiche di realizzazione, delle possibili perdite, valuta l’ipotesi di acquisto, in vista della successiva vendita delle aree a un prezzo più alto, dopo il 2015.
Stanca ipotizza una spesa di 150 milioni di euro, mentre viene richiesta una stima all’Agenzia del territorio. Nel frattempo, alla guida di Fondazione Fiera è arrivato Giampiero Cantoni (che sostituisce Luigi Roth, da sempre vicino al governatore Roberto Formigoni), che stima il valore dei terreni -quelli di Fondazione e quelli dei Cabassi- a 200 milioni di euro.
Nell’aprile 2010 Roberto Formigoni spiazza tutti e lancia l’idea di una società partecipata da Regione, Comune e Provincia che acquisti i terreni. “Uno dei motivi che può spiegare il cambio di atteggiamento da parte della Regione è probabilmente da ricercare nella rivalità tra Cantoni e il presidente Formigoni, fino al punto che si verifica un evento insolito come un’ispezione alla Fondazione Fiera su mandato della Regione”. Meno di un mese dopo l’acquisto dei terreni sembra cosa fatta. Il 31 maggio la giunta regionale vota per la costituzione della società che dovrà acquisirli.
Ma il 24 giugno Stanca si dimette. Giuseppe Sala, ex manager Pirelli e direttore generale del Comune di Milano, viene nominato il 30 giugno direttore generale. Sarà nominato a luglio.
Fondazione Fiera e famiglia Cabassi formulano comunque la proposta di un comodato d’uso. Secondo questa soluzione, alla fine della manifestazione oltre la metà dei terreni rimarrà ai soci pubblici, il resto tornerà ai privati che potranno costruire con un indice di 0,52 m2/m2. I proprietari accettano di contribuire agli investimenti sull’area, e di anticipare parte delle opere e degli oneri futuri. I Cabassi vengono tuttavia convocati dal nuovo direttore generale del Comune di Milano, Antonio Acerbo, che ha sostituito Giuseppe Sala, per un colloquio con Letizia Moratti. “Il sindaco ci spiega che dobbiamo metterci d’accordo sull’acquisto delle aree. Noi chiediamo perché, non se ne vede la necessità per il Comune. I giornalisti erano già stati convocati a Palazzo Marino, Formigoni era pronto ad annunciare che i terreni erano stati acquisiti. Ma il sindaco capisce che comprare non conviene, e salta tutto”.
La querelle continua: ora sembra che tutti siano d’accordo per il comodato, ma per avere l’approvazione della variante all’accordo di programma i privati hanno tempo fino alla fine di luglio per presentare un progetto adeguato sul post-Expo da sottoporre agli enti deputati (Comune, Provincia, Regione). “Ne presentammo più di uno, con diverse varianti, lavorando, noi e Fondazione, giorno e notte. Nessuno fu accettato”.
La vendita. Da questo punto in poi è un’escalation, e bisogna tenere bene a mente le date. Il 20 luglio 2010 il sindaco Moratti annuncia che l’acquisto sembra confermato. Ma la Regione mette di nuovo tutto in discussione. Una settimana dopo, il consiglio regionale approva compatto un ordine del giorno del PD che chiede di valutare l’ipotesi di esproprio dei terreni.
Il 29 luglio Formigoni viene intervistato dal quotidiano la Repubblica: i Cabassi mentono, dice, non c’è mai stato un accordo su quei terreni. Lo scontro tra Comune e Regione è sempre più aspro.
A settembre, però, la Fondazione cede. Il 9 settembre 2010 il presidente Cantoni dichiara che sta valutando la cessione. Ciononostante, il 5 ottobre 2010, al termine di un vertice notturno a casa Moratti tra il sindaco, Formigoni e il nuovo presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, sembra riaffiorare il comodato, secondo quanto stabilito a luglio. Il 7 ottobre il sindaco Moratti scrive ai privati, che il 14 riconfermano la propria disponibilità al comodato: siamo da capo.
Ma la situazione cambierà ancora una volta: il 10 aprile 2011 in una nuova riunione a casa Moratti si parla per la prima volta di Arexpo, la società che dovrà acquistare i terreni. A maggio Giuliano Pisapia sconfigge Letizia Moratti e diventa sindaco di Milano. Arexpo viene costituita il primo giugno 2011, e oggi è partecipata da Regione Lombardia (che detiene il 34,67% del capitale), dal Comune di Milano (con la stessa quota), dalla Fondazione Fiera (al 27,66%, corrispondente all’apporto dei terreni), dalla Provincia di Milano (2%) e dal Comune di Rho (1%). L’8 giugno Pisapia e Formigoni si incontrano. Il 13 giugno i milanesi manifestano votando un referendum consultivo che nel post-Expo vogliono un parco. Lo stesso giorno i Cabassi concedono il diritto di opzione per l’acquisto. Moratti non è più commissario. Lo diverrà Pisapia il 5 agosto. Nel frattempo, il 12 luglio 2011 si siglano gli accordi che stabiliscono il futuro dei terreni dopo l’Expo: chi li acquisterà potrà sfruttare un indice di edificabilità pari a 0,52, tutelando il 56% di area verde.
Per i Cabassi la vicenda si chiude con un ricavo di quasi 46 milioni di euro.
“La nostra lettura è che l’acquisto dell’area -spiega Marco- fosse propedeutica a una gestione degli appalti, senza elementi estranei al sistema. Anche essere arrivati così ‘lunghi’ sui lavori forse non è stato uno sbaglio, ma una scelta deliberata per poter operare in regime di emergenza. Del resto, i lavori sono partiti oltre 3 anni dopo l’assegnazione dell’Expo a Milano. Non credo si sia trattato solo di inefficienza”.
I lavori partono solo a ottobre 2011. A maggio 2012 la Procura di Milano aprirà il primo fascicolo sugli appalti Expo. Il resto è cronaca: le banche hanno finanziato Arexpo per circa 160 milioni, e l’Agenzia del territorio ipotizza che nel 2016 i terreni potrebbero valere oltre 330 milioni di euro. ---
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