Apprendere facendo
Come ripensare il mondo a partire della scuola? Servono pensiero critico e spazi comuni. Occorre creare quelle che Ivan Illich chiama trame dell’apprendimento, dove imparare facendo
Le nostre competenze vitali vengono dall’apprendere facendo
Gustavo Esteva, Senza insegnanti. Descolarizzare il mondo
Un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere
Italo Calvino, L’apologo sull’onestà nel paese dei corrotti
L’educazione è un processo naturale effettuato dal bambino e non si acquisisce ascoltando le parole, ma con esperienze nell’ambiente
Maria Montessori, La mente del bambino
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Il mondo in cui viviamo va in frantumi a grande velocità. In questi tempi oscurivivere è apprendere, il frutto delle continue interazioni con l’ambiente e con gli altri, ma anche apprendere a disimparare, per cercare nuovi modi di vedere il mondo.
E di quale apprendimento, oggi, abbiamo bisogno per alimentare la speranza, per trovare qualche candela da accendere nell’oscurità o per riconoscere le fiammelle già accese? Per trasformare le idee, le relazioni sociali, i territori e le istituzioni e per scoprire i cambiamenti già in atto, abbiamo bisogno di domande difficili, dipensiero critico, di tempo, di creatività, di spazi dove mettere in comune ogni giorno sguardi sul mondo e mutuo appoggio, ma soprattutto abbiamo bisogno di creare un nuovo tipo di relazione tra uomini e donne, tra adulti e bambini, tra comunità e ambiente: significa, prima di tutto, diffondere le occasioni dell’apprendimento nel rapporto con le altre persone, con le cose, con la città, con il tempo. Serve creare quelle che Ivan Illich in Descolarizzare la società (pdf)chiama “trame dell’apprendimento”.
La messa in discussione della scuola così com’è è, il rifiuto della scuola-azienda e dei deliri meritocratici sono solo alcuni passaggi, dei nodi di queste trame, ovvero di un cambiamento lento e complesso, in cui il come (apprendere) diventa importante almeno quanto il cosa.
“Possiamo cambiare la scuola senza bisogno che un ministro ce lo venga a dire o a imporre”, ha suggerito qualche anno fa il maestro Gianfranco Zavalloni (leggi La gioia di educare. Il maestro Zavalloni). Pensava che la riforma della scuola si potesse fare ovunque, tutti i giorni e in molti modi. Una grande lezione di autonomia per chi vuole cambiare il mondo smettendo di delegare ai mercati ma anche ai governi quel che possiamo fare da soli. Del resto abbiamo imparato, con alcuni movimenti, che è molto difficile, o forse impossibile, cambiare il mondo, è invece possibile resistere e cominciare a crearne uno nuovo, qui e ora, tra le macerie del vecchio. Le domande giuste allora sono: come possiamo creare il nostro mondo nuovo nei territori dove viviamo e nelle scuole che frequentiamo ogni giorno? Come possiamo trasformare la scuola e favorire un’educazione in grado di accompagnare bambini e bambine, ragazzi e ragazze, contro e oltre la cultura individualista, competitiva, devastatrice del capitalismo? Come possiamo nutrire l’apprendimento per una società senza dominio?
Di certo, servono comunità educative, territori nei quali l’apprendere, non solo la scuola, assuma forme diverse. Possiamo pensare e sperimentare, ad esempio, scuole senza aule e con aule diverse, prese in cura da chi le vive, oppure aule aperte e itineranti, tra orti, ciclofficine, botteghe, mercati, laboratori, biblioteche, piazze di tutto il mondo dove imparare facendo; senza classi e con classi composte da pochi studenti per sperimentare autoapprendimento e condivisione; senza insegnanti e con contadini, falegnami, musicisti, cuochi, teatranti… che affiancano insegnanti e maestri ogni giorno; senza campanelle e con attività in cui si impara a rallentare; senza divisioni nette tra teoria e pratica e con materie nuove per riscoprire la manualità o il contatto con la terra; senza testi unici e con didattiche esperienziali, creative, interdisciplinari e interculturali che offrano domande più che risposte; sicuramente senza voti, note e punizioni.
In fondo, la scuola come la conosciamo oggi, è nata in Europa nell’800, quando l’industria aveva bisogno di manodopera qualificata, capace, almeno, di leggere il nome delle macchine e di interpretare le istruzioni per farle funzionare. Tuttavia, la storia dei senza potere, la vita di ogni giorno di quelli che vivono in basso, quella che non si studia a scuola, dimostra che sono state comunità che etichettiamo con un po’ di disprezzo di “analfabeti” a inventare la ruota, il linguaggio, l’agricoltura, la metallurgia, “sono stati schiavi analfabeti a costruire le piramidi”, ricordaGianni Rodari. Per questo, oggi serve una cultura che non resti monopolio di una élite dominante: serve, ad esempio, riscrivere le pagine di storia partendo non dai presidenti o dalle classe dirigenti, dagli eserciti o dalle guerre, ma dalle persone escluse dalla storia ufficiale, dal loro poco visibile ribellarsi facendo. E serve, al tempo stesso, mettere in discussione l’idea tradizionale di apprendimento: si tratta di pensare all’autoeducazione e a un vero inserimento di bambini e ragazzi nel dinamismo della vita sociale.
Ha scritto Maria Montessori: “Il nostro mondo è stato lacerato ed ora ha bisogno di essere ricostruito”. Questo spazio web raccoglie articoli, saggi, notizie, interviste, link, video sull’universo dell’apprendere, sulla scuola, sull’imparare ad imparare e vuole essere utile a chi non si rassegna alle lacerazioni e all’oscurità.
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