martedì 7 aprile 2015

CI NUTRIAMO DA SOLI

Come mangiare bene grazie alla fame altrui

Alimentazione. Il problema non è la quantità di cibo, ma nell’accesso a quel cibo e in chi lo controlla
Appro­fon­dendo il tema «Nutrire il pia­neta, Ener­gia per la vita», lo slo­gan dell’Expo di Milano, le cose non qua­drano e una cinica ipo­cri­sia di fondo emerge chia­ra­mente. Secondo il Word Food Pro­gramme nel mondo ci sono 805 milioni di per­sone che sof­frono la fame: in par­ti­co­lare nei paesi in via di svi­luppo un bam­bino su 6 è sot­to­peso. Nel con­tempo, gra­zie a com­por­ta­menti ali­men­tari distorti, ci sono 1,5 miliardi di per­sone in sovrap­peso e circa 500 milioni di obesi. Que­sti due estremi sono in realtà legati tra loro. La fame è al primo posto tra i fat­tori di mag­gior rischio per la salute ed uccide ogni anno più per­sone di Aids, mala­ria e tuber­co­losi messe insieme. Il sovrap­peso invece, con le sue impli­ca­zioni car­dia­che e tumo­rali, è il prin­ci­pale pro­blema sani­ta­rio nei paesi del cosid­detto primo mondo. Ad age­vo­lare tale assur­dità ci sono i cam­bia­menti cli­ma­tici, i con­flitti bel­lici e lo sfrut­ta­mento ambien­tale. Aggiun­gia­moci la voca­zione pre­da­to­ria del nostro capi­ta­li­smo, in par­ti­co­lare l’uso indi­scri­mi­nato delle risorse natu­rali e sociali, e pos­siamo tirare le somme.

Stando ai dati uffi­ciali, sul pia­neta c’è già cibo a suf­fi­cienza per sfa­mare tutta la popo­la­zione mon­diale. La super­fi­cie agri­cola ara­bile a nostra dispo­si­zione (4,1 miliardi di ettari), cioè ter­reni suf­fi­cien­te­mente fer­tili e con buone pre­ci­pi­ta­zioni di piog­gia, per­met­te­rebbe ad ogni essere umano di man­giare cibo per almeno 5.000 calo­rie al giorno: circa 8 piatti di pasta e fagioli per inten­derci, un pasto sem­plice ma com­pleto. La terra oggi col­ti­vata basta anche per pro­durre fibre tes­sili, otte­nere mate­riali da costru­zione per uso abi­ta­tivo e per­sino rim­bo­schire una super­fi­cie grande 30 volte l’Italia. Sono cifre appa­ren­te­mente incre­di­bili che in realtà si rica­vano incro­ciando i dati della Fao. Ad esem­pio, la pro­du­zione media annuale di cereali è di circa 2,4 miliardi di ton­nel­late, cioè quanto basta per ali­men­tare il dop­pio della popo­la­zione mon­diale attuale, con circa mezzo chilo gior­na­liero di farina, riso o avena pro capite. In que­sto cal­colo è inclusa anche la per­dita di resa nel pas­sag­gio dalle gra­na­glie al pro­dotto finito. Se aggiun­giamo le pro­du­zioni di zuc­chero, latte, uova, frutta, ver­dura e oli vege­tali, ossia pro­dotti utili per diver­si­fi­care l’alimentazione, otte­niamo che ogni bam­bino, anziano, migrante o rifu­giato, poten­zial­mente dispor­rebbe di una dieta ipercalorica.
Alla luce di que­sti dati la povertà diventa un mero fatto poli­tico e i luo­ghi comuni di eco­no­mi­sti ed esperti risul­tano falsi: è falso l’argomento per cui gli Ogm incre­men­te­reb­bero la pro­du­zione e risol­ve­reb­bero il pro­blema della fame; come anche il pro­blema dell’esplosione demo­gra­fica sul nostro pia­neta dal punto di vista ali­men­tare (che va risolto su altri livelli) e quello che desti­nando una minima parte delle attuali super­fici col­ti­vate a pro­du­zioni agri­cole non ali­men­tari (quella per una «green eco­nomy» seria) si sot­trar­rebbe ter­reno all’alimentazione umana. Il pro­blema non sta nella quan­tità, ma nell’accesso a quel cibo e in chi lo con­trolla. In pri­mis, buona parte dei cereali pro­dotti a livello mon­diale viene impie­gata per pro­durre carne: ossia oggi il prin­ci­pale fat­tore cli­mal­te­rante. Un terzo delle pro­du­zioni agri­cole mon­diali viene poi get­tato durante le fasi com­mer­ciali: nella pre­pa­ra­zione e con­fe­zio­na­mento (pere e pesche ammac­cate, patate di cali­bro e super­fi­cie «sba­gliate», ecc.), nel con­di­zio­na­mento, nel tra­sporto e nello stoc­cag­gio dei pro­dotti a migliaia di chi­lo­me­tri di distanza dai luo­ghi di pro­du­zione. Alcune «sca­denze» (senza gene­ra­liz­zare), inol­tre, sono inven­tate solo per creare spre­chi. Nel mondo si get­tano circa 1,3 ton­nel­late di cibo ogni anno; una quan­tità 4 volte supe­riore a quella neces­sa­ria per sfa­mare la parte di popo­la­zione affa­mata. Nel conto dob­biamo met­tere anche i cosid­detti aiuti uma­ni­tari. Secondo la Fao circa un terzo di essi viene speso dai paesi dona­tori all’interno dei pro­pri con­fini. Vale a dire che con la fame altrui molti ci mangiano.
Per tali motivi è bene che di que­ste cifre si parli poco, soprat­tutto in Ita­lia, in vista dell’Expo e del suo slo­gan deci­sa­mente imba­raz­zante. Il pro­blema dell’accesso al cibo rischia di acuirsi, invece che risol­versi, se pro­se­guono le attuali poli­ti­che delle mul­ti­na­zio­nali che faranno bella mostra di se a Milano, e dei governi com­pia­centi. Le risorse eco­no­mi­che messe insieme da Expo 2015 SpA, come hanno rico­struito Tiziana Barillà e Raf­faele Lupoli per «Left», pro­ven­gono anche da colossi indu­striali che mil­lan­tano una soste­ni­bi­lità ancora tutta da dimo­strare. Molti di que­sti fanno finta di occu­parsi dell’ambiente con una «green eco­nomy» solo di fac­ciata. Per debel­lare la povertà e la fame a livello glo­bale non serve pian­tare qual­che albero in giro per il mondo o met­tere pan­nelli solari sopra i capan­noni indu­striali, se poi si con­ti­nuano ad attuare com­por­ta­menti anti­sin­da­cali come ha fatto la Fiat Cry­sler Auto­mo­bi­les di Ser­gio Mar­chionne con gli iscritti alla Fiom. La Coca Cola sta pro­gram­mando di usare bot­ti­glie di pla­stica bio­de­gra­da­bile: spe­riamo non lo fac­cia con­ti­nuando a sfrut­tare i minori e le popo­la­zioni povere o a sot­trarre e inqui­nare l’acqua di falda ad interi vil­laggi indiani, come ha fatto in pas­sato. In Colom­bia e in Gua­te­mala, squa­droni para­mi­li­tari hanno ucciso decine di sin­da­ca­li­sti solo per­ché tute­la­vano gli inte­ressi degli ope­rai. E cosa dire dell’Enel che con­ti­nua a pro­durre ener­gia elet­trica da fonte nucleare in Slo­vac­chia e in Spa­gna? Oppure di Intesa San Paolo che ha finan­ziato mas­sic­cia­mente l’esportazione di armi in pas­sato? La Fin­mec­ca­nica nel suo «Bilan­cio di Soste­ni­bi­lità» del 2013 dichiara di aver adot­tato tol­le­ranza zero rispetto al pro­blema della cor­ru­zione (forse da dopo le con­su­lenze di Val­ter Lavi­tola?); dice anche che non è coin­volta nella pro­du­zione di armi leg­gere e «con­tro­verse» (mine anti-uomo, bombe a grap­polo, armi chi­mi­che, ecc.) che cau­sano la morte e migra­zione di intere popo­la­zioni coin­volte nei con­flitti bel­lici: infatti una delle sue attuali pro­du­zioni di punta è il Meads, un sistema mis­si­li­stico che inter­cetta e distrugge simul­ta­nea­mente due ber­sa­gli pro­ve­nienti da dire­zioni opposte.
La Nestlé, invece, con la «sua» attuale voca­zione ambien­ta­li­sta, non è la stessa mul­ti­na­zio­nale che ha for­nito gra­tui­ta­mente il «suo» latte in pol­vere alle madri afri­cane per indurle ad abban­do­nare l’allattamento al seno rica­van­done enormi pro­fitti? Salvo, come denun­cia l’Unicef, gene­rare enormi pro­blemi di salute a quelle popo­la­zioni. L’elenco è ancora lungo, ma non può che ter­mi­nare con la Mon­santo: la prima azienda ad aver bre­vet­tato sementi con la famosa Soia RR, dove la dop­pia erre sta per «Roun­dup Ready». La sigla indica che quei semi sono stati «adat­tati» al trat­ta­mento chi­mico (il Roun­dup) senza il quale non pos­sono cre­scere e svi­lup­parsi. Lo stesso ritro­vato chi­mico che nel 1997 negli Usa veniva pro­mosso come «bio­de­gra­da­bile ed eco­lo­gico». Pro­duce inol­tre l’ormone Bch per la cre­scita for­zata dei bovini da macello, rite­nuto da molti scien­ziati can­ce­ro­geno, e si dedica alla mani­po­la­zione gene­tica, bre­vet­tando sementi che si pos­sono usare per un solo rac­colto, deter­mi­nando la famosa «tec­no­lo­gia della morte» che priva le comu­nità agri­cole della loro seco­lare capa­cità di sal­vare i semi. Secondo appro­fon­diti studi inter­na­zio­nali, solo in India, le poli­ti­che di que­ste mul­ti­na­zio­nali del cibo por­tano al sui­ci­dio un agri­col­tore ogni 30 minuti, per un totale, pren­dendo gli ultimi 16 anni, di oltre 250.000 con­ta­dini. Ecco cosa signi­fica, da que­sto punto di vista, «nutrire il pianeta».
Grazie per i commenti.

Nessun commento:

Posta un commento

Commento Pubblicato