La fine delle quote latte
Liberalizzazione Ue. Il programma durava da 31 anni, con lo scopo di
lottare contro la sovrapproduzione. José Bové: "una data triste". Ma
per la Commissione "non ci sono rischi di caduta dei prezzi", perché il
mercato mondiale tira. La vittoria della produzione industriale a
scapito dell'agricoltura contadina. Le pressioni di Germania, Olanda e
Gran Bretagna, le reticenze di Italia e Spagna. La Francia tra difesa
dei piccoli produttori e la grande industria.
Dopo 31 anni di esistenza, da oggi nella Ue non ci sono più le “quote latte”. Erano state imposte nell’84, per far fronte all’effetto perverso della Pac – la più importante politica comune, che è arrivata ad assorbire fino al 45% del budget comunitario – che aveva creato alla fine degli anni ’70 enormi eccedenti grazie ai “prezzi di intervento” prestabiliti, le “montagne di burro” che costava immagazzinare. Da alcuni anni, poi, molti paesi, a cominciare da Germania, Olanda, Austria, non rispettavano più le “quote”, stabilite per paese, e i produttori nazionali preferivano pagare le multe piuttosto che rinunciare a parti di mercato, un settore in forte crescita. Da oggi l’Europa volta pagina. A vantaggio di chi? Ieri c’è stata una manifestazione contro la fine delle quote latte a Bruxelles. “Non ci sarà più controllo sulla produzione di latte – spiega l’eurodeputato José Bové, difensore dell’agricoltura contadina – c’è un rischio incredibile di aumento della produzione, di crollo dei prezzi e di migliaia di contadini sul lastrico”. Per Bové, oggi “è una data triste” perché è stato deciso di “sacrificare la produzione di latte in nome delle norme del liberismo economico, dell’ognuno per sé, della logica industriale, che non vuole limiti, della logica di mercato a danno dei contadini”. Il commissario all’Agricoltura, Phil Hogan, ribatte: “non temo né la sovrapproduzione né il crollo dei prezzi, perché la domanda mondiale non cessa di crescere e le opportunità di sviluppo sono molteplici”. A titolo di esempio, Hogan cita il raddoppio dell’export di latte europeo verso la Corea del Sud tra il 2010 e il 2014. Secondo la Commissione, la produzione europea avrà sbocchi in Cina, in tutta l’Asia, in Africa.
La Ue è il promo produttore di latte mondiale (seguito dalla Nuova Zelanda). Al 90% il latte prodotto in Europa è oggi consumato nel vecchio continente. L’aumento della produzione dovrebbe quindi favorire l’export, anche grazie a un calo dei costi di produzione (prezzi di petrolio e cereali in ribasso) e all’euro debole. Gran Bretagna, Germania, Irlanda, Olanda hanno fatto pressione sulla Commissione per abolire le quote latte. Spagna e Italia sono invece molto reticenti. La Francia è in mezzo, perché da un lato, con le quote latte, ha difeso la diffusione su tutto il territorio dell’allevamento per la produzione di latte, ma dall’altro ha anche grandi industriali del settore, a cominciare dai giganti Lactalis e Danone, che premono per la liberalizzazione. Difatti, apertura alla mondializzazione significa che i grossi saranno vincitori, mentre i piccoli dovranno affrontare un mondo a loro sconosciuto. Restano, per questo, alcuni aiuti: per esempio per gli allevamenti di montagna, i più vulnerabili. Verrà creato un Osservatorio europeo del settore latte. Inoltre, la Commissione sta negoziando con la Bei (Banca europea di investimenti) per facilitare i crediti e proteggere gli agricoltori dalle fluttuazioni dei prezzi mondiali. In molti paesi, la concentrazione della produzione è già all’opera da tempo. In Francia, per esempio, è nata nella contestazione la fattoria Mille vaches nella Somme, un enorme centro di produzione che dovrebbe fare da modello per il futuro. In Germania e in Olanda i grandi impianti si sono già diffusi. Il modello delle cooperative deve correre dietro questo sistema di latte industriale se vuole sopravvivere. I capitali cinesi sono già arrivati in Europa, per assicurarsi più da vicino alla fonte gli approvvigionamenti in latte, previsti da Pechino in grande crescita. Il futuro, in altri termini, è sempre più nelle mani dei grandi capitali e della grande industria, con produzione di latte standardizzato e di formaggi industriali senza gusto, ma che possono attraversare facilmente le frontiere (a differenza dei prodotti artigianali).
La fine delle quote latte non significa tabula rasa sul passato, nel senso che le multe accumulate nel passato per gli sfondamenti dei tetti di produzione, dovranno comunque venire pagate, anche se il sistema non esiste più. Nella campagna 2013–14, le quote complessivamente in Europa erano state oltrepassate di 1,4 miliardi di litri di latte, perché il mercato mondiale tirava, con una produzione complessiva di 151 miliardi di litri. A sfondare erano stati soprattutto i grandi produttori tedeschi e olandesi. Ci sono multe da pagare per il 2013–14 pari a 409 milioni di euro. Per il 2014–15, i calcoli definitivi non sono ancora stati fatti, ma le multe dovrebbero salire a 750 milioni. I paesi membri hanno ottenuto di rateizzare il pagamento delle multe dovute a Bruxelles su tre anni.
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