mercoledì 23 marzo 2011

La rivoluzione senza consumi

03/02/11 - La rivoluzione senza consumi
In L'institution imaginaire de la sociéte? Cornelius Castoriadis, attraverso la critica della
razionalizzazione infinita, si dichiara decisamente un «obiettore di crescita»: «Si dice spesso [...]
? scrive ? che "tutto è subordinato all'efficacia", ma efficacia per chi, per che cosa e per quale
scopo? La crescita economica è stata realizzata: ma per fare cosa, per chi, a quali costi, e per
arrivare dove? Se si eludono queste domande, non ci sono più ostacoli all'espansione della
nostra razionalizzazione immaginaria. Niente può fermarla, è senza limiti [il che si traduce nella
sostituzione dell'essere umano "con un insieme di aspetti parziali scelti arbitrariamente secondo
un sistema arbitrario di fini"], elevata al rango di necessità obiettiva, mentre qualsiasi dubbio
viene considerato appannaggio di "persone poco serie come i poeti e i romanzieri"» [nota 24,
leggi in coda all'articolo]. Come si vede, ritroviamo in Castoriadis il punto di partenza del progetto
di società della decrescita.Come uscirne? Naturalmente, si deve pensare innanzitutto
all'educazione, la paideia. Castoriadis si interroga: «Che vuol dire, per esempio, la libertà o la
possibilità per i cittadini di partecipare, se non c'è, nella società di cui parliamo, quel qualcosa che
va scomparendo nelle discussioni contemporanee [...], e cioè la paideia, l'educazione del
cittadino? Non si tratta di insegnargli l'aritmetica, si tratta di insegnargli a essere cittadino.
Nessuno nasce cittadino. E come lo si diventa? Imparando a esserlo. Lo si impara, in primo
luogo, guardando la città in cui ci si trova. E sicuramente non attraverso la televisione che si
guarda oggi» [25].
Tuttavia, questo è possibile soltanto se la società della decrescita è già realizzata. Bisogna prima
uscire dalla società dei consumi e dal suo regime di «cretinizzazione civica». La questione della
fuoriuscita dall'immaginario dominante, per Castoriadis come per noi, è fondamentale, ma
estremamente difficile, perché non si può decidere di cambiare il proprio immaginario, e ancor
meno quello degli altri, soprattutto se «dipendenti» dalla droga della crescita. A una domanda su
questo punto ? «In precedenza lei ha detto che bisogna voler lavorare sulla propria anima, che
bisogna voler pensare: dunque sarebbe la volontà il punto di partenza di questa ricerca della
libertà?» ? Castoriadis risponde: «Certo, ma questa volontà è motivata anche dalla riflessione, e
dal desiderio. Bisogna desiderare di essere liberi, se non si desidera di essere liberi non si può
esserlo. Ma non basta desiderarlo, bisogna farlo, cioè mobilitare una volontà, e praticare una
prassi, una prassi riflessiva e deliberata che permetta di realizzare questa libertà in quanto
possibilità che risulta imma nente nella misura in cui lo si desidera» [26].
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Noi possiamo fare nostra la risposta di Castoriadis. Tuttavia, una volta identificati i cambiamenti
necessari, è chiaro che questi non possono essere attuati con una decisione volontarista, del
genere: «Oggi pensiamo così, Castoriadis, pensatore della decrescita domani dobbiamo pensare
diversamente». Come osserva ancora Castoriadis: «La famiglia, il linguaggio, la religione delle
persone non si trasformano con le leggi e i decreti, e ancor meno con il terrore» [27]. Il punto è
esattamente questo. Tutti i tentativi di cambiare radicalmente i modi di pensare e i modi di vita,
sempre più o meno compiuti con la forza, hanno avuto dei risultati terri ? ficanti, come dimostra
l'esperienza dei Khmer rossi in Cambogia. È per questo d'altronde che i nostri avversari, quando
vogliono delegittimarci, presentano in modo caricaturale le nostre posizioni chiamandoci «Khmer
verdi».
Castoriadis è ancora più chiaro nel dibattito con il Mauss: «Possiamo anche dire, come fa Caillé,
che esistono dei valori di solidarietà estremamente importanti; ma non possiamo farne uno dei
punti di un programma politico» [28].
Denunciare l'aggressione pubblicitaria, oggi veicolo di ideologia, è sicuramente il punto di
partenza della controffensiva29 per uscire da quello che Castoriadis chiama l'«onanismo
consumistico e televisivo».30 Il fatto che la rivista «La décroissance» sia stata fondata
dall'associazione Casseurs de pub non è un caso. Il movimento degli obiettori di crescita è
largamente e naturalmente legato alla resistenza all'aggressione pubblicitaria. In effetti la
pubblicità costituisce la molla fondamentale della società della crescita ? cosa d'altronde
riconosciuta, non senza un certo cinismo, dagli stessi pubblicitari. «Possiamo svilupparci soltanto
come società di sovraconsumo ? scrive Jacques Séguela ?. Questo surplus è una necessità del
sistema. [...] Questo sistema fragile sopravvive soltanto grazie al culto del desiderio» [31]. In
sostanza, siamo di fronte a un vero e proprio complotto, ben analizzato da Edward Bernays, il
nipote di Freud, che come un perfetto cesellatore ha snaturato la psichiatria per applicarla al
marketing, cioè all'arte del riduttore di teste per eccellenza. Con un cinismo e una lucidità
incredibili, Bernays dichiara che «la manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e
delle convinzioni delle masse è un elemento importante della società democratica. Coloro che
manovrano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che è
la vera potenza regnante del paese» [32]. In effetti, osserva Castoriadis, «tutto quello che avviene
nella società non avviene per costrizione: le persone vogliono questo modo di consumo, questo
tipo di vita, vogliono passare tante ore al giorno davanti alla televisione e giocare con il computer
di casa. C'è qualcosa di diverso da una semplice "manipolazione" da parte del sistema e delle
industrie che ci guadagnano. C'è un enorme movimento ? uno scivolamento ? in cui tutto si tiene:
le persone si spoliticizzano, si privatizzano, si rifugiano nella loro piccola sfera "privata", e il
sistema fornisce loro i mezzi per farlo. E quello che le persone trovano in questa sfera "privata" le
allontana ancora di più dalla responsabilità e dalla partecipazione politica» [33].
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La decolonizzazione dell'immaginario sarà un processo lungo, che dovrà avvenire per
autotrasformazione. Ma, osserva ancora Castoriadis, «nel frattempo il procedere automatico della
tecnoscienza continua a distruggere l'ambiente e a creare rischi immensi in un futuro sempre più
prossimo" [34]. È dunque urgente intervenire. Ma che fare?
La conquista pacifica delle menti richiede molta pazienza. Di sicuro, la scommessa della
decrescita non è vinta! Soltanto una crisi può accelerare le cose provocando un fermento
rivoluzionario. Una rivoluzione è necessaria. Ma, va subito precisato, per noi come per
Castoriadis, «rivoluzione non vuol dire né guerra civile né spargimento di sangue». In effetti, il
nostro sistema sopravvive solo perché affonda le sue radici in una storia ricca e variegata, in
tradizioni culturali che fagocita e distrugge ma che sono al tempo stesso indispensabili alla sua
sopravvivenza. Probabilmente non è lontano il momento in cui la pianta parassita avrà soffocato
del tutto l'albero di cui ha succhiato la linfa, condannando l'enorme e arrogante fogliame al
deperimento e alla morte [35]. Tuttavia, questo crollo auspicabile non garantisce
automaticamente un domani radioso, ed è a questo punto che la rivoluzione si impone.
Castoriadis continua: «La rivoluzione è un cambiamento di determinate istituzioni centrali della
società a opera della società stessa: l'autotrasformazione esplicita della società condensata in un
tempo breve [...] La rivoluzione significa l'ingresso della maggioranza della comunità in una
fase di attività politica, ovverosia costituente. L'immaginario sociale si mette al lavoro e la
vora esplicitamente alla trasformazione delle istituzioni esistenti» [36]. Già in La société
ureaucratique Castoriadis definiva la rivoluzione come uno «strappo radicale da
formeplurimillenarie della vita sociale, uno strappo che mette in discussione la relazione
dell'uomo con i suoi strumenti di lavoro come con i suoi figli, il suo rapporto con la collettività
come con le sue idee, insomma tutte le dimensioni del suo avere, del suo sapere e del suo
potere» [37].
In questo senso, il progetto della società della decrescita è sostanzialmente rivoluzionario. Si
tratta di un cambiamento di cultura non meno che delle strutture del diritto e dei rapporti di
produzione. Tuttavia, trattandosi di un progetto politico, la sua realizzazione obbedisce più
all'etica della responsabilità che all'etica della convinzione. La politica non coincide con la morale,
e chi esercita la responsabilità deve fare dei compromessi con l'esistenza del male. La ricerca del
bene non è la ricerca del Bene assoluto ma piuttosto quella del male minore.
Non per questo però il realismo politico deve significare abbandonarsi alla banalità del male, ma
piuttosto contenerla nell'orizzonte del bene comune. In questo senso, per quanto radicale e
rivoluzionaria, qualsiasi politica non può che essere riformista, e deve esserlo se non vuole
sprofondare nel terrorismo. Ma d'altra parte questo necessario pragmatismo dell'azione politica
non significa una rinuncia agli obiettivi dell'utopia concreta. Il potenziale rivoluzionario dell'utopia
concreta non è incompatibile con il riformismo politico, a patto che gli inevitabili compromessi non
degenerino in compromissione del pensiero.
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La società della decrescita, come la società autonoma di Castoriadis, non è concepibile senza
una fuoriuscita dal capitalismo. Tuttavia, la formula «uscire dal capitalismo» sta a indicare un
processo storico che è tutto salvo che semplice. L'eliminazione dei capitalisti, la proibizione della
proprietà privata dei mezzi di produzione, l'abolizione del rapporto salariale o della moneta
sprofonderebbero la società nel caos e sarebbero possibili soltanto grazie a un terrorismo
generalizzato. Ma tutto questo non basterebbe per rimuovere l'immaginario capitalistico, anzi...
Uscire dallo sviluppo, dall'economia e dalla crescita non significa dunque rinunciare a tutte le
istituzioni sociali che l'economia si è annessa, ma reinquadrarlein una logica differente. Anche su
questo punto, siamo in sintonia con l'analisi di Castoriadis: «Nel marxismo c'è l'idea assurda che
il mercato in quanto tale, la merce in quanto tale, "personificano" l'alienazione. Si tratta di un'idea
assurda, in quanto i rapporti tra gli uomini, in una società ampia, non possono essere "personali"
come in una famiglia. Sono sempre, e saranno sempre, socialmente mediati. Nel contesto di
un'economia appena sviluppata, questa mediazione si chiama mercato(scambio)». «A mio parere
? scrive ancora Castoriadis ? è del tutto evidente che non può esistere una società complessa
senza, per esempio, mezzi impersonali di scambio. La moneta esercita questa funzione, e in
questo senso è estremamente importante. Che si sottragga alla moneta una delle sue funzioni
nelle economie capitalistica e precapitalistica, cioè quella di strumento di accumulazione
individuale di ricchezza e di acquisizione di mezzi di produzione, è una cosa. Ma in quanto unità
di valore e mezzo di scambio, la moneta è una grande invenzione, una grande creazione
dell'umanità» [38].
Alla domanda «Attualmente quali forze sociali sono portatrici di un'alternativa? Oppure l'idea
stessa di un legame tra un'alternativa e delle forze sociali precise è falsa?», Castoriadis risponde:
«Questa idea in effetti è falsa, in ogni caso per le società moderne. Non si può più affermare che
il "proletariato" ha storicamente il compito della trasformazione della società. [...] Oggi la
trasformazione della società richiede la partecipazione di tutta la popolazione, e tutta la
popolazione può essere resa sensibile a questa necessità ? a eccezione forse di un 3-5 per cento
di inconvertibili» [39]. Questa risposta coincide perfettamente con quella data dal subcomandante
Marcos, ed è anche la nostra.
Per la decrescita vale quello che Castoriadis dice di tuttele idee innovative: «I loro avversari
cominciano sostenendo che sono assurde, continuano dicendo che tutto dipende dal significato
che si attribuisce loro e finiscono per affermare che le avevano sempre sostenute caldamente».
Ma aggiunge: «Non bisogna mai perdere di vista il fatto che una simile "accettazione" a parole è
uno dei mezzi migliori per far perdere a quelle idee la loro forza eversiva. [...] La società
contemporanea dà prova di un virtuosismo senza pari nell'arte del recupero o dello snaturamento
delle idee» [40].

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