giovedì 3 marzo 2011

QUANDO ARRIVERA' LA CRISI

02/12/11 - Libri. La seconda chanche
Quando arriverà la crisi, scrive nel 1973 Ivan Illich in «La convivialità», bisognerà «saper
dimostrare che la dissoluzione del miraggio industriale offre l'occasione per scegliere un modo di
produzione conviviale ed efficace. La preparazione a questo compito è il cardine di una nuova
pratica politica». Per fortuna la preparazione alla quale allude Illich si nutre oggi di molte
esperienze ed elaborazioni, raccontati in libri di saggistica e narrativa, in grado non solo di
mettere in discussione il miraggio industriale e i suoi corollari [lo sviluppo, la crescita, il profitto a
tutti i costi, i consumi infiniti...] ma anche di delineare le possibili alternative. Pur tra limiti e
contraddizioni, a differenza di qualche anno fa, oggi è possibile studiare alcune vie di uscita dalla
società dei consumi, quella che Guido Viale chiama «La civiltà del riuso», che è anche il titolo al
suo ultimo libro [Laterza].Ciò che colpisce di questo interessante viaggio nel mondo dell'usato,
uno dei fulcri intorno ai quali costruire la civiltà del terzo millennio, sono i numerosi richiami di
romanzi nei quali gli autori raccontano il nostro rapporto complesso con gli oggetti. Viale riesce a
dimostrare che alcuni testi letterari consentono di osservare più in profondità i problemi della vita
quotidiana rispetto all'analisi economica, sociale e filosofica. Il primo testo richiamato è un breve
resoconto introspettivo scritto dalla francese Lydia Flem dal titolo «Come ho svuotato la casa
dei miei genitori» [Archinto 2005], in cui l'autrice racconta come, dopo la morte dei genitori, si è
trovata a decidere che cosa fare degli oggetti lasciati da sua madre e suo padre. Le cose messe
da parte negli anni, spiega l'autrice, «parlano» di chi le ha raccolte, possedute e conservate, per
questo la ricognizione degli oggetti sembra un'intrusione nella vita più intima delle persone.
«Come non sentirmi colpevole quando forzavo la loro intimità, entravo nella loro camera senza
bussare ? scrive Lydia Flem ?, svelavo le loro manie piccole e grandi, le loro eccentricità, le loro
ferite, facevo effrazione in lati della loro personalità che essi stessi forse neppure intravedevano e
che ora si rivelano impunemente al mio sguardo?». Ma è comunque il valore affettivo degli
oggetti lasciati a prendere il sopravvento: «Tra melanconia e amarezza, tristezza e dolore,
gratitudine e scoramento, pensai che ero stata fortunata ad aver visto i miei genitori invecchiare e
a poter adesso raccogliere degli oggetti che mi parlavano di loro».
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Illuminanti sono anche le citazioni tratte da «Il museo dell'innocenza» [Einaudi 2009], dello
scrittore turco Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006, in cui il protagonista del
romanzo, Kemal, cerca di trattenere, conservando gli oggetti come in un museo, i momenti più
belli vissuti insieme a F?sun, morta in un incidente d'auto dopo una difficile e tormentata storia
d'amore. Con questi e altri testi, tra cui «Le correzioni» di Jonathan Frenzen [Einaudi 2002],
«La discarica» di Paolo Tebaldi [E/O 1998], «Sulla felicità a oltranza» di Ugo Cornia [Sellerio
1999], «Il campo di grano sotto casa» di Antonio Onortati [pubblicato su Carta nel 2009] e
altri ancora Viale riutilizza i testi letterari per mostrare le potenzialità poco visibili degli oggetti
usati, il rapporto che abbiamo con le cose, e come in molti luoghi utilizziamo spesso oggetti già
usati da altri.
Il libro di Viale, quindi, non si limita a spiegare come il recupero conviene a chi cede e a chi
diventa possessore di un bene usato, perché riduce il prelievo di materie prime e la produzione
dei rifiuti [a questo proposito, dello stesso Viale ricordiamo «Azzerare i rifiuti», Bollati Boringhieri
2008], promuove il meticciato di gusti e aumenta l'occupazione, ma segnala diverse esperienze
internazionali, molto differenti tra loro, nate intorno al riuso e riciclo: dalla rete inglese Charity
shops al franchising italiano Mercatino srl, passando per i belgi di Ressources e gli statunitensi di
Second Chance. Non manca, infine, il dettagliato racconto di come potrebbe funzionare una
ricicleria ideale, legata a un territorio di piccole dimensioni, e progettata per rovesciare la
relazione che ciascuno i noi e la società nel suo insieme hanno nei confronti dei rifiuti che
producono, in particolare degli oggetti suscettibili di avere una seconda vita. Questi souk della
sostenibilità, suggerisce Guido Viale dovrebbero essere divisi in tre aree: la prima per la
selezione dei materiali riciclabili e i laboratori di riparazione [quest'area potrebbe comprendere
anche una sala conferenze, spazi per feste e, ci permettiamo di suggerire, una libreria e una
biblioteca], la seconda è destinata alla divisione in forma differenziata dei materiali suscettibili
solo di riciclo, la terza alla rivendita. L'ecocentro così delineato, può diventare anche uno
straordinario strumento di welfare municipale, se a occuparsi di tutte o di alcune di queste
funzioni fossero organizzazioni sociali in accordo con l'amministrazione locale. Insomma, non
occorre inventare nulla per avere finalmente l'alfabeto della «civiltà del riuso»: l'incontro tra
saperi, a torto ritenuti poco nobili ma assai diffusi nella società, e amministrazioni locali può
essere la prima scintilla importante.

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